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L'invio di un messaggio di posta elettronica certificata - anche a più destinatari - non costituisce di per sè l'aggravante del terzo comma dell'articolo 595 del Codice penale che punisce la diffamazione. Inizialmente la norma prvedeva l'aggravante per la condotta commessa a mezzo stampa. Oggi la nozione è quella della potenziale pubblicità che, con i nuovi mezze di comunicazione, può raggiungere un contenuto diffamatorio. L'immissione in internet di un messaggio è già stata considerata dalla giurisprudenza come presunzione di un alto rischio di diffusione dei contenuti condivisi.

È l'invasività nella sfera privata del destinatario delle plurime comunicazioni, effettuate a fini di disturbo o molestia, a far scattare il reato previsto dall'articolo 660 del Codice penale. E non rileva che esse non siano realizzate con lo strumento del telefono come esplicitamente indica la norma. La Corte di cassazione - con la sentenza n. 34171/2023 - ha precisato che il reato può ben essere commesso anche con l'inoltro di messaggi di posta elettronica.

La banca non deve rimborsare al cliente vittima di phishing le somme sottrattegli dal conto corrente se dimostra la sua condotta «fortemente imprudente» nell’aver comunicato al truffatore le credenziali di accesso. Lo ha precisato il Tribunale di Roma con la sentenza 16588 del 15 novembre scorso.

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La colpa per le violazioni privacy ricade sull'organizzazione (impresa, ente privato o pubblico), chiamata a pagare le sanzioni, anche se non è identificata la singola persona (ad esempio il dipendente), che ha materialmente commesso la violazione.

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Con la sentenza nella causa C-311/18 del 16 luglio 2020, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha invalidato il "Privacy Shield", ovvero l’accordo largamente difuso con cui grandi organizzazioni e multinazionali potevano fino ad ora legittimare il trasferimento di dati personali tra Europa e Stati Uniti.

La Corte di giustizia europea ha bocciato oggi le normative nazionali che impongono la raccolta e la conservazione indiscriminata dei dati personali da parte delle società di telecomunicazioni e di quelle tecnologiche operanti in questo campo, confermando che il diritto dell'Unione si oppone a questo tipo di disposizioni salvo quando siano giustificate da una "grave minaccia" alla sicurezza nazionale.

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Con sentenza nella causa T-553/23, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto il ricorso presentato dall’eurodeputato Philippe Latombe, confermando la legittimità del Data Privacy Framework (DPF), lo strumento giuridico che dal 2023 disciplina i trasferimenti di dati personali dall’Unione europea verso gli Stati Uniti.

Una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l'Italia per la perquisizione della sede del Grande Oriente d’Italia e per il sequestro di 39 faldoni di schede relative agli iscritti alle logge del GOI nelle regioni Sicilia e Calabria.

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No all’accesso indiscriminato ai tabulati telefonici e a tutti gli altri dati nelle mani delle Telco - come posizione, pagine internet visitate ecc. - per identificare gli autori di un reato che non sia di gravità tale da autorizzare una simile ingerenza nei diritti fondamentali della persona. Questo principio viene esteso dalla Corte Ue, sentenza della Corte nella causa C-178/22.

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La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha stabilito che un tribunale polacco ha violato il diritto di una donna alla vita privata e familiare costringendola a viaggiare all'estero per abortire a causa di un'anomalia fetale.

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Il presidente di Federprivacy a Report Rai 3

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