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Secondo la Corte di cassazione (sentenza n. 46496 del 20 novembre) utilizzare su Facebook espressioni apparentemente offensive nei confronti di un’alta carica istituzionale o persino – come nella vicenda – nei confronti di un Ministro non per forza costituisce reato di diffamazione.

Controllo rafforzato sull’utilizzo di intercettazioni svolte all’estero. La Cassazione chiarisce, con la sentenza n. 44154/2023 della Sesta sezione penale, limiti e condizioni nel nuovo sistema delineato dall’ordine d’indagine europeo (Oie).

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Va cancellata dai registri dello stato civile italiano la sentenza, non definitiva, di scioglimento del matrimonio islamico, emessa dal tribunale sciaraitico con la formula del Talaq: il ripudio unilaterale della moglie da parte del marito. Per la Cassazione la decisione di ripudio, che riguardava una coppia dalla doppia cittadinanza italiana e giordana, emanata all’estero, nello specifico in Palestina, da un’autorità religiosa, come il tribunale sciaraitico, anche se equiparabile, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale, non può essere riconosciuta nell’ordimento giuridico italiano se viola principi di ordine pubblico sostanziale e processuale.

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La sentenza 11959/2020 della Cassazione riconosce la natura di “cosa mobile” a un file e amplia le fattispecie astrattamente contestabili per condotte di “sottrazione” elettronica. Nello stesso tempo, però, crea un contrasto con la posizione, più volte espressa dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali, sulla natura non patrimoniale dei dati in questione.

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In caso di installazione di un impianto di videosorveglianza in mancanza di accordo sindacale, il consenso del lavoratore non costituisce esimente della responsabilità penale. È il principio affermato dalla Cassazione con sentenza 1733 del 17 gennaio 2020.

In dottrina e in giurisprudenza vi è stato un ampio dibattito se la normativa sulla privacy impedisca la ripresa con telecamere delle parti comuni condominiali: la Corte di Cassazione (sentenza 30191/2021) ha concluso positivamente.

Il consenso collettivo o individuale dei dipendenti non può legittimare a posteriori la presenza in azienda di strumenti di videosorveglianza se il datore di lavoro li ha installati in violazione delle prescrizioni dello Statuto dei lavoratori, cioè senza consultazione e accordo con le rappresentanze sindacali o senza l'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro provinciale. Passaggi che vanno compiuti prima di mettere in funzione i predetti strumenti. 

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