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Google paga i danni morali per la mancata rimozione delle url - relative ad una notizia oggetto di una condanna per diffamazione - comprese quelle riferibili ai siti gestiti da altri motori di ricerca. E questo perché Google come internet service provider, mette a disposizione degli utenti i riferimenti necessari per identificarli. La Cassazione (sentenza 18430/2022) respinge il ricorso di Google Llc, contro la condanna a pagare 25 mila euro di danni morali a causa della sofferenza patita da un utente.

Fa giurisprudenza la sentenza della Cassazione n. 7708 del marzo scorso che ha condannato "Yahoo!" - riconosciuto come "hosting provider attivo" e dunque fuori dal regime di limitazione della responsabilità prevista per gli "hosting puri" - a rimuovere una serie spezzoni di popolari trasmissioni Mediaset ("Amici" e Striscia la notizia") dalla propria sezione video.

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I magistrati non sono di per sé "personaggi pubblici", solo perché svolgono una funzione indiscutibilmente di pubblico rilievo. Per cui la pubblicazione della loro immagine è legittima solo col consenso dell'interessato e solo entro i limiti per cui è stato prestato. Anche se ciò non esclude a priori che un giudice possa comunque assurgere a persona pubblica se ricorrono alcune circostanze o caratteristiche. Questo il chiarimento contenuto nella sentenza della Corte di cassazione penale n. 13197 depositata il 29 aprile 2020.

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Il like sui post antisemiti pubblicati nei social network è un grave indizio del reato di istigazione all’odio razziale. Il gradimento, infatti, non solo dimostra, incrociato con altre evidenze, l’adesione al gruppo virtuale nazifascista, ma contribuisce alla maggiore diffusione di un messaggio, già di per sé idoneo a raggiungere un numero indeterminato di persone. La Cassazione, con la sentenza n. 4534, respinge il ricorso contro una misura cautelare disposta dal Gip, per il reato di istigazione all’odio razziale.

Avvocato che parla male del collega incastrato dalla registrazione effettuata di nascosto dal cliente nello studio legale. Il file audio è utilizzabile nel processo civile in quanto riproduzione meccanica ex art. 2712 del Codice Civile né l'uso è precluso dal Codice Privacy: anche nel penale, infatti, la registrazione eseguita all'insaputa dell'interlocutore da una persona che è presente alla conversazione costituisce una prova documentale non costituisce un'intercettazione e dunque resta fuori dal campo delle garanzie ad hoc. Lo stabiliscono le s.u. civili della Cassazione con la Sentenza 20384/21.

Quando si chiede a una persona il consenso a trattare i suoi dati personali perché siano dati in pasto a un algoritmo chiamato ad assumere una qualche decisione il consenso non è valido se la persona non è adeguatamente informata delle logiche alla base dell’algoritmo. È la sintesi di una bella Sentenza depositata nei giorni scorsi dai Giudici della Corte di Cassazione.

L'assegno circolare versato sul conto dell'imprenditore o del professionista può sempre essere imputato dal fisco a ricavi in nero. Ciò anche se la banca rifiuta di rivelare chi emette il titolo per motivi di privacy. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con l'ordinanza n. 24238 dell'8 settembre 2021, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate.

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Costituisce appropriazione indebita la sottrazione definitiva di file o dati informatici attuata mediante duplicazione e successiva cancellazione da un personal computer aziendale, affidato al colpevole per motivi di lavoro e restituito formattato. I dati informatici, per struttura fisica, misurabilità delle dimensioni e trasferibilità, devono essere considerati come cose mobili ai sensi della legge penale. Lo chiarisce la Cassazione con la Sentenza 11959/2020 della Seconda sezione penale con la quale la Corte modifica un orientamento contrario a ritenere applicabile l’appropriazione indebita, reato punito con pena fino a 3 anni, alla condotta di sottrazione di file.

Da un’indagine della Guardia di finanza emergeva che undici schede telefoniche fossero state intestate a cinque ignari cittadini in spregio della normativa che ne richiede l'obbligo di identificazione dell'assegnatario dell'utenza e l'obbligo di rendere agli interessati le informazioni relativamente al trattamento dei dati personali.

Se mancano i verbali delle conversazioni, le intercettazioni non sono utilizzabili. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 8045 depositata il 1 marzo, accogliendo il ricorso di un imputato in processo per droga. Secondo il ricorrente infatti posto che era risultato illeggibile il supporto che avrebbe dovuto contenere la riproduzione delle conversazioni intercettate, il difensore aveva eccepito l'inutilizzabilità delle richieste di autorizzazione delle operazioni di intercettazioni telefoniche, acquisite dal Tribunale, "in quanto mancano le registrazioni e i verbali delle operazioni compiute e i cd brogliacci".

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