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I magistrati non sono di per sé "personaggi pubblici", solo perché svolgono una funzione di pubblico rilievo

I magistrati non sono di per sé "personaggi pubblici", solo perché svolgono una funzione indiscutibilmente di pubblico rilievo. Per cui la pubblicazione della loro immagine è legittima solo col consenso dell'interessato e solo entro i limiti per cui è stato prestato. Anche se ciò non esclude a priori che un giudice possa comunque assurgere a persona pubblica se ricorrono alcune circostanze o caratteristiche. Questo il chiarimento contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione penale n. 13197 depositata il 29 aprile 2020.

Il caso - La vicenda riguardava il comportamento di un avvocato che aveva più volte fatto volantinaggio dinanzi al palazzo di giustizia interloquendo in modo unilaterale - oltre che diffamatorio - con gli utenti al fine di diffondere accuse contro l'operato di alcuni magistrati di cui veniva anche riprodotta l'effige fotografica. Lo stesso avvocato aveva anche diffuso la notizia dell'imminente pubblicazione di un proprio libro dal titolo "Storie comiche di otto importanti pessimi magistrati".

E tutto questo mentre - già condannato per calunnia e diffamazione contro alcuni giudici - godeva della misura alternativa dell'affidamento ai servizi sociali. Misura poi aggravata con la semilibertà proprio a seguito di tali episodi, anche se con l'autorizzazione a svolgere la professione in ambito regionale. Concessione finalizzata alla rieducazione del condannato. La Cassazione conferma la visione del giudice di sorveglianza che aveva disposto l'aggravamento e non il rientro in carcere proprio per non escludere una chance di rieducazione.

E la conferma si estende anche al punto delle specifiche prescrizioni imposte al professionista che anche dopo la condanna aveva proseguito nella critica non lecita dei giudici e di fatto offeso il decoro dell'istituzione Giustizia. Legittimo quindi avergli imposto la cancellazione del suo profilo Facebook, prescritto di non partecipare a piattaforme web essendo autorizzato al solo uso della propria posta elettronica e della Pec esclusivamente per consentirgli di svolgere la professione.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 30 aprile 2020

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