Il titolare del trattamento decide i tempi di conservazione della videosorveglianza, ma i filmati non devono sparire per colpa di regolamenti obsoleti
I tempi di conservazione dei filmati di videosorveglianza non sono scolpiti nella pietra. È il titolare del trattamento a doverli determinare in base alla finalità effettiva del trattamento.

Solo per la finalità di sicurezza urbana il legislatore ha previsto un limite massimo rigido di sette giorni (art. 6, D.L. 11/2009). In tutti gli altri casi – tutela ambientale, sicurezza stradale, prevenzione di danneggiamenti o vandalismi – il periodo di conservazione deve essere valutato dal titolare, all’interno di un range ragionevole, che può variare da 48 ore a qualche settimana, purché sorretto da una motivazione documentata nel registro dei trattamenti e nella valutazione d'impatto (DPIA).
Su questo tema si innesta la recente sentenza n. 8472 del 31 ottobre 2025 del Consiglio di Stato, che offre un interessante spunto di riflessione sul confine tra compliance formale e effettività della tutela giuridica del dato. Il caso, apparentemente banale, riguarda una collisione stradale avvenuta a Bergamo sotto una telecamera comunale. L’automobilista coinvolta, dopo alcuni mesi, aveva chiesto di visionare i filmati per dimostrare la responsabilità dell’altro conducente. Il Comune aveva opposto diniego, spiegando che le immagini erano state automaticamente cancellate dopo cinque giorni, secondo quanto previsto dal proprio regolamento.
(Nella foto: Stefano Manzelli, Direttore di sicurezzaurbanaintegrata.it.)
Il TAR Lombardia Brescia prima (sent. n. 671/2024) e poi il Consiglio di Stato hanno confermato la legittimità della condotta comunale: se il documento non esiste più perché il termine di conservazione è scaduto, l’amministrazione non ha alcun obbligo di ostensione. Il diritto di accesso – precisano i giudici – è esercitabile solo “finché l’amministrazione è tenuta a detenere il documento”.
La posizione di Palazzo Spada è formalmente corretta: l’art. 5 del GDPR impone la limitazione della conservazione e il regolamento comunale risulta conforme ai principi europei.
Tuttavia, dal punto di vista tecnico-operativo, la vicenda solleva un interrogativo di fondo: può un regolamento locale fissare termini di conservazione così rigidi da impedire la tutela del diritto di difesa o l’utilizzo probatorio dei dati digitali?
In assenza di una disciplina settoriale specifica, è il titolare del trattamento (cioè il Comune) a dover stabilire, nel proprio atto interno, la durata effettiva di conservazione dei filmati per ciascuna finalità, tenendo conto:
- del rischio connesso al trattamento e delle possibili conseguenze in caso di cancellazione prematura;
- delle esigenze di accertamento di illeciti amministrativi o penali, anche in fase di flagranza differita;
- dell’interesse pubblico alla sicurezza stradale o ambientale, che giustifica conservazioni più lunghe (es. fototrappole, abbandono rifiuti, atti vandalici).
La gestione della videosorveglianza, in altri termini, non è una questione di giorni ma di governance. Il tempo di conservazione deve essere proporzionato, motivato e tecnicamente verificabile. Un approccio “a scadenza fissa” — cinque o sette giorni per tutti — è oggi inadeguato rispetto alle evoluzioni normative e tecnologiche.







