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Hosting provider "attivo" sempre responsabile dei contenuti pubblicati

Fa giurisprudenza la sentenza della Cassazione n. 7708 del marzo scorso che ha condannato "Yahoo!" - riconosciuto come "hosting provider attivo" e dunque fuori dal regime di limitazione della responsabilità prevista per gli "hosting puri" - a rimuovere una serie spezzoni di popolari trasmissioni Mediaset ("Amici" e Striscia la notizia") dalla propria sezione video.

La XVII Sezione civile Specializzata in materia di impresa del Tribunale di Roma (sentenza n. 18727/19) ha infatti condannato - applicando lo stesso metro e cioè la presenza di «indici di interferenza sui contenuti» quali indicizzazione, selezione ecc. - Bit Kitchen Inc. a rimuovere 59 brani audiovisivi ancora presenti sulla piattaforma due mesi dopo la diffida di Rti (assistita dallo studio Previti).

Non solo, la decisione ha anche riconosciuto un risarcimento in favore di Rti di 1,6mln di euro, fissando sin d'ora in 5mila euro, per ciascun brano, la somma dovuta per ogni altra eventuale violazione. Il Collegio inoltre ha riconosciuto alla società del gruppo Mediaset altri 160mila euro a titolo di danno morale (il 10% del danno patrimoniale) per violazione della legge sul diritto d'autore.

La sentenza ricorda che in materia di "hosting provider", la Cassazione, a sua volta, ha recepito l'orientamento ormai consolidato della Corte di giustizia Ue secondo cui va ulteriormente distinta la nozione di "hosting provider attivo" per ricomprendere «l'attività dei soggetti esorbitante da quella di ordine meramente tecnico, automatico e passivo». Mentre l'hosting passivo «non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali fornisce i servizi».

Tale distinzione, prosegue la decisione, assume rilievo ai fini della responsabilità: «nel caso in cui l'attività svolta sia quella di hosting provider attivo, si è infatti ritenuta non operante la specifica disciplina di esclusione dalla responsabilità, prevista, invece, per il solo operatore che svolga attività di hosting passivo». «In ogni caso, prosegue, anche per quest'ultimo l'esenzione di responsabilità si considera operante qualora lo stesso: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione diffusa sia illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso».

Così ricostruito il quadro, prosegue il Collegio, vanno ora individuati i criteri in base ai quali l'attività del prestatore possa essere ricondotta nell'ambito dell'una o dell'altra categoria. E qui il Tribunale richiama espressamente la decisione della Cassazione secondo cui a individuare l'hosting provider "attivo", è la presenza di taluni "indici di interferenza" (sui contenuti illeciti), costituiti dallo svolgimento di «attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione». Tutte condotte che abbiano, in sostanza, «l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati».

Infine, per la quantificazione del risarcimento si è tenuto conto di quanto avrebbe dovuto pagare la piattaforma se le avesse acquistate legalmente e per il tempo in cui la violazione è stata accertata.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 16 ottobre 2019

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