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Reato in concorso per l’impiegato di banca che chiede al collega l’invio di dati a cui non ha accesso per policy aziendale. La Quinta penale della Cassazione (sentenza 565/19) ha confermato la condanna alle sole statuizioni civilistiche (il reato era nel frattempo prescritto) per il dipendente di un grande gruppo bancario che si era fatto spedire da un collega “titolato” il file excel relativo alla posizione di un cliente importante. Il ricorrente, accusato di accesso abusivo a sistema informatico, aveva impugnato la decisione della Corte d’appello di Milano sostenendo che il semplice invio di una mail tra colleghi non può integrare il profilo oggettivo del reato contestato.

La trasparenza pubblica si realizza attraverso la pubblicità di atti, documenti e dati da parte di Enti ed Amministrazioni. Tale attività è posta oggi soprattutto sulla rete internet ed in particolare sui siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni. L'ordinanza n.26267/2023 della Corte di Cassazione.

Per far perdere in un processo la qualità di prova alle riproduzioni informatiche di una chat occorre un disconoscimento «chiaro, circostanziato ed esplicito», che si deve concretizzare «nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta». Sono quindi inefficaci i semplici richiami, fatti dal ricorrente, ai propri scritti difensivi nei quali dichiarava che quanto rappresentato dalle riproduzioni informatiche non corrispondesse alla realtà dei fatti in essa descritta. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza 12794 del 13 maggio 2021.

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La diffusione di un messaggio denigratorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata. Ciò perché la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall'utilizzo di una bacheca social ha la capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di persone. Le “vetrine virtuali” raccolgono spesso un numero molto elevato di lettori perché l'utilizzo dei social integra oggi una delle modalità principali attraverso le quali gruppi di soggetti condividono esperienze di vita, professionali, sociali, affettive.

Rischia una condanna per diffamazione aggravata chi insulta altri su Facebook, anche se magari pensa di farla franca solo perché evita di fare il nome della persona offesa. Se infatti gli aggettivi usati sono sufficienti per individuare la persona presa di mira, non sarà poi possibile nascondersi dietro un dito per sottrarsi alle proprie colpe. È il caso di una donna che sul noto social network aveva scritto offese pesanti riferendosi a una conoscente definendola in modo sprezzante “nana” e “spazzina”.

La Cassazione ha pronunciato due principi di diritto in materia di tutela della privacy. Questo è il primo: «in tema di protezione di dati personali, con riferimento a fattispecie non disciplinate dalle norme introdotte dal Dlgs 101/2018, di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679, l'atto di accertamento e di contestazione dell'illecito amministrativo non è irrogativo della sanzione e non risulta idoneo, come tale, a produrre effetti sulla sfera giuridica del presunto trasgressore, sicché questi è carente dell'interesse ad agire con riferimento a una domanda di accertamento negativo dell'illecito solo contestato, potendo unicamente proporre opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio che sia successivamente emanato nei suoi confronti dal Garante a norma dell'art. 18 Iegge n. 689 del 1981.

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La gelosia tra ex può costare cara, soprattutto se viaggia sui social network. Lo sa bene una donna di 34 anni, condannata dal Tribunale di Palermo (giudice onorario Marchese) a pagare 6mila euro di risarcimento danni a un amico dell’ex fidanzato per aver creato un falso profilo Facebook a suo nome per tentare di recuperare la relazione sentimentale interrotta (sentenza 2076 del 16 maggio 2022).

E' diffamazione rendere noto a terzi lo stato di morosità altrui. Infatti, l'amministratore di condominio deve sempre tutelare la privacy dei condòmini con riferimento ai loro dati personali sui pagamenti delle spese condominiali, di cui abbia conoscenza in ragione del suo mandato professionale. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 22184 del 5 settembre 2019, con la quale i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un amministratore di condominio e del suo avvocato contro la sentenza d'appello che li aveva ritenuti responsabili in solido e li aveva condannati al pagamento di un risarcimento del danno a un condomino.

Compie il reato di interferenze illecite nella vita privata il marito che registra in casa propria la conversazione della moglie con un altro, ad esempio il suocero. Affinché si consumi il delitto è sufficiente che chi carpisce le voci altrui con lo smartphone non partecipi al dialogo che avviene all'interno dell'abitazione.

L'accesso alla banca dati denominata Sdi (Sistema D'Indagine del Ced del ministero dell'Interno) effettuato da appartenenti alle forze di Polizia per motivi non legati all'attività di repressione del crimine o di tutela dell'ordine pubblico determina il reato di accesso abusivo a sistema informatico nella forma aggravata perché commesso da pubblici ufficiali.

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Il presidente di Federprivacy a Report Rai 3

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