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La Cassazione ha pronunciato due principi di diritto in materia di tutela della privacy. Questo è il primo: «in tema di protezione di dati personali, con riferimento a fattispecie non disciplinate dalle norme introdotte dal Dlgs 101/2018, di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679, l'atto di accertamento e di contestazione dell'illecito amministrativo non è irrogativo della sanzione e non risulta idoneo, come tale, a produrre effetti sulla sfera giuridica del presunto trasgressore, sicché questi è carente dell'interesse ad agire con riferimento a una domanda di accertamento negativo dell'illecito solo contestato, potendo unicamente proporre opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio che sia successivamente emanato nei suoi confronti dal Garante a norma dell'art. 18 Iegge n. 689 del 1981.

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La gelosia tra ex può costare cara, soprattutto se viaggia sui social network. Lo sa bene una donna di 34 anni, condannata dal Tribunale di Palermo (giudice onorario Marchese) a pagare 6mila euro di risarcimento danni a un amico dell’ex fidanzato per aver creato un falso profilo Facebook a suo nome per tentare di recuperare la relazione sentimentale interrotta (sentenza 2076 del 16 maggio 2022).

E' diffamazione rendere noto a terzi lo stato di morosità altrui. Infatti, l'amministratore di condominio deve sempre tutelare la privacy dei condòmini con riferimento ai loro dati personali sui pagamenti delle spese condominiali, di cui abbia conoscenza in ragione del suo mandato professionale. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 22184 del 5 settembre 2019, con la quale i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un amministratore di condominio e del suo avvocato contro la sentenza d'appello che li aveva ritenuti responsabili in solido e li aveva condannati al pagamento di un risarcimento del danno a un condomino.

L'accesso alla banca dati denominata Sdi (Sistema D'Indagine del Ced del ministero dell'Interno) effettuato da appartenenti alle forze di Polizia per motivi non legati all'attività di repressione del crimine o di tutela dell'ordine pubblico determina il reato di accesso abusivo a sistema informatico nella forma aggravata perché commesso da pubblici ufficiali.

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Concorso in diffamazione per il blogger che resosi conto di un commento offensivo non lo rimuova tempestivamente. Una simile condotta infatti vale come "condivisione" del contenuto diffamatorio e ne consente l'ulteriore diffusione. La Corte di cassazione, sentenza 45680/2022, ha così respinto il ricorso di un uomo condannato dalla Corte di appello di Messina a seguito dell'accusa, comparsa sul suo sito, di "vicinanza alla mafia" di una società e dei suoi esponenti, a cui il blogger aveva aggiunto anche una sua annotazione a essa "adesiva".

Facebook deve rimuovere i post del cui contenuto diffamatorio è pienamente consapevole. In caso contrario deve essere sanzionata sul piano pecuniario. A questa conclusione approda il Tribunale di Milano, Prima sezione civile, con sentenza con la quale Facebook è condannata al risarcimento danni nei confronti di Snaitech per non avere tempestivamente cancellato una serie di contenuti diffamatori pubblicati nelle pagine «Truffa Snaitech» e «Snaitech Truffa».

Porta aperta alle class action e alle richieste danni contro il social network che esagera sulla gratuità dei servizi offerti agli utenti digitali. I dati personali sono inseriti in un circuito di sfruttamento commerciale e tutto questo va chiarito fin da subito. Se, invece, si pone l'accento magnificando la gratuità del servizio, allora si commette pubblicità ingannevole. E l'Antitrust applica la relativa sanzione pecuniaria e può obbligare a diffondere un comunicato che metta in evidenza la scorrettezza. Così come è capitato a Facebook, cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha applicato una sanzione di 5 milioni di euro, obbligando a pubblicare un avviso in cui dichiara di avere violato il codice del consumo, per mancata adeguata informazione agli utenti. Le sanzioni sono state confermate dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2631 del 29/3/2021.

Indietro tutta sulla decisione del Tar Lazio (n. 07333/2021) che aveva ordinato alla Rai di dare all'avvocato Andrea Mascetti gli atti propedeutici al servizio giornalistico che lo riguardava nell'ambito della puntata di Report, "Vassalli, valvassori e valvassini", del 26 ottobre 2020. Il Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11 aprile 2022, n. 2655 ha infatti accolto il ricorso della televisione pubblica affermando che è legittimo il diniego di accesso alla documentazione che conterrebbe informazioni false ed errate se nell'istanza non è spiegato il nesso di strumentalità con la lesione dell'onore paventato dall'istante, considerato che si tratta di documentazione, che non è stata diffusa all'esterno.

Si possono ottenere dal fisco le informazioni su reddito e patrimonio dell'ex coniuge se i dati servono a difendersi nelle cause di separazione o divorzio; è ampia, infatti, la nozione di documento amministrativo cui va garantito l'accesso al cittadino in base alla legge sulla trasparenza, al punto da comprendere l'archivio dei rapporti finanziari, vale a dire l'anagrafe dei conti correnti, accanto alle denunce fiscali e agli immobili di proprietà affittati a terzi. Il tutto anche senza l'autorizzazione o l'intervento del giudice: viaggiano su due piani distinti l'ostensione dei documenti in possesso dell'amministrazione finanziaria e l'esercizio dei poteri processuali e istruttori.

Una bussola per il sequestro di dati informatici. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 34265 della sesta sezione penale ha stabilito che in materia di sequestro probatorio di dispositivi informatici o telematici, la copia-integrale dei dati contenuti costituisce solo una “copia-mezzo”, che permette la restituzione del dispositivo, ma non legittima il trattenimento dell’insieme dei dati oltre il tempo necessario a selezionare, tra la molteplicità delle informazioni in essa contenute, quelle pertinenti al reato per cui si procede.

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