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Visualizza articoli per tag: lavoro

Un recente provvedimento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (Provv. 10.11.2022, doc. web n.9832838) si è occupato nuovamente del trattamento di dati biometrici in ambienti di lavoro affermando che è ammissibile solo se necessario per adempiere gli obblighi ed esercitare i diritti del datore di lavoro previsti da una disposizione normativa.

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Si gioca sul crinale tra diritto di critica e offesa gratuita la partita tra lavoratori e aziende per i commenti sui social network. Se è lecito scrivere post commentando fatti realmente accaduti con un linguaggio moderato, la giurisprudenza non ammette invettive personali e attacchi non giustificati. Lo ha ribadito il Tribunale di Taranto con la sentenza del 26 luglio scorso , che si è pronunciata sul caso del lavoratore dell’ex Ilva licenziato per giusta causa per aver scritto sulla propria bacheca Facebook un commento su una fiction in cui accusava gli autori di non aver avuto il coraggio di fare il nome dell’azienda, concludendo con la parola «assassini».

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Il lavoratore che, per svolgere le proprie mansioni tratta dati personali può essere legittimamente sospeso dal proprio datore di lavoro, qualora rifiuti la nomina di incaricato. Dal Gdpr infatti discendono precisi obblighi e responsabilità per il titolare nel trattamento dei dati personali, dalla cui violazione discendono responsabilità civili, sanzionatorie e di natura amministrativa.

La titolarità e la responsabilità del trattamento dei dati acquisiti attraverso impianti audiovisivi secondo l'articolo 4 della legge 300/1979 (statuto dei lavoratori), non possono far capo a soggetti diversi dal datore di lavoro, al fine di evitare che vengano disattese le finalità per le quali la installazione di tali impianti può essere autorizzata. Tale è il principio contenuto nella sentenza 15644/2022 del Tar Lazio e ripreso dall’Ispettorato nazionale del lavoro nella nota 7482/2022, riguardante il ricorso avverso il provvedimento di rigetto di una istanza volta a ottenere l'installazione di impianti audiovisivi.

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I dati contenuti nel pc aziendale in dotazione al dipendente e utilizzati per lo svolgimento dell’attività lavorativa sono patrimonio aziendale. Pertanto, il dipendente che cancelli o manipoli o trasferisca all’esterno tali dati attua una condotta disciplinarmente rilevante, commette illecito civile e penale e può essere tenuto al risarcimento dei danni. Per dimostrare la condotta illecita del dipendente, il datore di lavoro può legittimamente acquisire e produrre in giudizio i messaggi privati inviati dal lavoratore a soggetti terzi. Così ha stabilito la Cassazione nella pronuncia 33809/2021 che ha affrontato il tema anche sotto il profilo della privacy e dei controlli difensivi.

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L’azienda non può utilizzare, ai fini del licenziamento, la conversazione privata di una dipendente che, nella chat aziendale, sparla di un superiore e di alcune colleghe, se non ha comunicato ai dipendenti la possibilità di fare controlli. Una deroga, sarebbe stata possibile solo in caso di controlli difensivi, destinati a proteggere beni aziendali o finalizzati a contestazioni sulla prestazione lavorativa. Ma nulla di tutto questo era stato eccepito alla lavoratrice. Il suo sfogo dunque, destinato ad un solo interlocutore, rientra nella libera manifestazione del pensiero.

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L’introduzione di un sistema di timbratura per rilevare le presenze, con terminale biometrico (rilevamento delle impronte digitali), per dipendenti e collaboratori, con lo scopo di registrare l’accesso e la presenza in azienda, è un trattamento illegittimo di dati, perché privo di valida base giuridica, oltre che contrario ai principi di liceità, necessità e proporzionalità. È il principio contenuto nell’ordinanza ingiunzione del 22 novembre del 2022, pronunciata dal Garante della Privacy a conclusione di un procedimento sanzionatorio avviato contro una società, che offre lo spunto per analizzare l’uso di dati biometrici nell’ambito del rapporto di lavoro.

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Il licenziamento del lavoratore che utilizza gli strumenti di lavoro per finalità estranee alla prestazione lavorativa è legittimo se è rispettata la normativa privacy. È quanto stabilito dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Cassino che, con ordinanza del 23 novembre 2020, ha respinto il ricorso promosso da un lavoratore, accogliendo le tesi difensive del datore di lavoro.

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Basta un semplice gesto, come avvicinare il dorso della mano a un lettore elettronico, per portare a termine tante operazioni: aprire la porta di casa, pagare la spesa al supermercato, far scattare il tornello in stazione, esibire le proprie generalità... Tutto grazie a un microchip sottocutaneo impiantato nella mano, tra il pollice e l'indice. In Svezia sono oltre quattromila le persone che hanno deciso di usare questo strumento, grande quanto un chicco di riso, per velocizzare tante semplici operazioni e avere sempre con sé dati, abbonamenti e carte di credito.

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L'azienda multiservizi che vuole razionalizzare la gestione del proprio parco veicoli può utilizzare anche strumenti di geolocalizzazione satellitare. Ma prima deve effettuare una serie di verifiche, tra cui la valutazione di impatto privacy del sistema. Lo ha evidenziato il Tar Emilia-Romagna, sez. II, con la sentenza n. 618 del 29 luglio 2022.

Siamo tutti spiati? il presidente di Federprivacy a Cremona 1 Tv

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