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Parto anonimo: non si può negare al figlio di accedere ai dati sanitari della madre biologica

Il giudice non può negare alla figlia di accedere ai dati sanitari che riguardano i suoi genitori, solo basandosi sulla volontà, mai rimossa, della madre di restare anonima. La Cassazione (sentenza 22497/2021) accoglie sul punto il ricorso di una signora ultracinquantenne, arrivata fino all’ultimo grado di giudizio, per rivendicare il suo diritto di accesso alle origini. La ricorrente chiedeva ai giudici di procedere all’interpello della madre biologica per capire se c’erano margini di ripensamento da parte sua, oltre a chiedere di poter prendere visioni delle informazioni sanitarie relative al genitore naturale e alle anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento alle malattie ereditare trasmissibili. La Corte d’Appello aveva negato entrambe le possibilità.

La volontà della donna di restare anonima non esclude il diritto del figlio a conoscere l’anamnesi o la presenza di eventuali patologie anche ereditarie

La madre biologica aveva ormai oltre 90 anni, un deterioramento cognitivo e una depressione bipolare. Malgrado non fosse interdetta dunque, il quadro era tale da impedire qualunque contatto nel senso auspicato dalla figlia tale da turbare un equilibrio psico-fisico già compromesso. Il no espresso dai giudici all’interpello della donna era stato esteso anche all’eccesso agli atti sanitari. Per la Cassazione quest’ultimo è ingiustificato.

La Suprema corte avalla la scelta dei giudici di seconda istanza di negare la possibilità di sentire la madre sulla conferma o meno di una volontà espressa oltre 50 anni prima al momento del parto e comunque mai nella vita messa in discussione nei fatti: la donna non aveva mai cercato la figlia. A distanza di tanto tempo il quadro clinico della donna era tale da precludere atti che potevano pregiudicarlo ulteriormente.

I giudici di legittimità ricordano le condanne all’Italia da parte della Corte di Strasburgo per non aver mai bilanciato il diritto all’anonimato della madre con quello del figlio a conoscere le origini, prevedendo l’irreversibilità del diniego opposto al momento del parto alla pubblicità dei dati materni. Una “eurocensura” che ha portato il legislatore, anche sulla scia della sentenza della Corte costituzionale del 2013, a prevedere l’interpello della madre biologica. Un passaggio che, almeno finchè il genitore è ancora in vita, resta obbligato, e che i giudici di merito non hanno considerato possibile viste le condizioni di salute della madre naturale.

Ingiustificabile invece il no a conoscere i dati sanitari della genitrice per ragioni di salute, preservando comunque il segreto sulla sua identità. La Cassazione precisa, infatti, che, pur non essendo possibile una consultazione indiscriminata del certificato di assistenza al parto o alla cartella clinica, non poteva essere negato un diritto «di accesso sulla base di un quesito specifico, non esplorativo, relativo a specifici dati sanitari e con l’osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza e quindi la non identificabilità della madre biologica».

Fonte: Il Sole 24 Ore del 10 agosto 2021

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