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Una sentenza del Tribunale di Torino accende i riflettori sull'utilizzo dei sistemi automatizzati per l'assegnazione delle supplenze e le conseguenze che queste tecnologie possono avere sui diritti dei lavoratori. Al centro della vicenda c’è una docente precaria che si è vista assegnare un contratto a tempo determinato di sole 9 ore settimanali, nonostante fossero disponibili incarichi a tempo pieno.

Con il Decreto Trasparenza, i lavoratori dovranno essere informati dal datore o dai committenti sull’uso di sistemi decisionali o di monitoraggio solo se questi sistemi sono integralmente automatizzati. Gli obblighi informativi non si applicano, poi, ai sistemi che siano protetti da segreto industriale. Sono queste le due modifiche apportate dal decreto Lavoro (Dl 48/2023, ora all’esame del Senato per la conversione in legge) all’articolo 1-bis del Dlgs 157/1997, introdotto l’anno scorso dal decreto Trasparenza (Dlgs 104/2022).

Ecco perchè non è una buona idea per chi usa le app di dating lasciare che un algoritmo – chiunque ci sia dietro – arrivi a conoscere così bene le nostre emozioni, i nostri desideri più intimi e il nostro cuore.

Per chi deve ricorrere ad un finanziamento, pare proprio che si stia avviando verso il tramonto l'epoca della burocrazia fatta di buste paga e dichiarazioni dei redditi da presentare insieme ad altra documentazione con le varie lungaggini che ancora comportano le procedure tradizionali prima di ottenere risposta dall'istituto di credito a cui ci si rivolge.

La Cassazione ha accolto il ricorso del Garante dopo la sanzione irrogata a un ente pubblico sanitario regionale per illecito trattamento di dati personali “in chiaro” di pazienti in violazione degli artt. 5, 9, 14 e 35 del GDPR e dell’art. 2 sexies del Dlgs. n.196/2003 per classificare gli assistiti in relazione al rischio di avere o meno complicanze in caso di infezione da Covid-19.

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Codici di condotta, diritto di opposizione contro lo strapotere degli algoritmi e portabilità dei dati grezzi (che sono ricalcolati dalle macchine e vanno a comporre masse enorme di informazioni): è la trilogia delle tutele contro i pericoli dei big data messa in campo dal regolamento Ue sulla protezione dei dati n. 2016/679 (Gdpr), illustrata nell'indagine conoscitiva appunto sui big data, condotta congiuntamente dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dal Garante per la protezione dei dati personali.

Nelle scorse settimane Meta ha annunciato che a partire dal 27 maggio utilizzerà i dati personali degli utenti europei, italiani compresi, per addestrare la sua intelligenza artificiale, ma se gli utenti possono essere rassegnati a subire passivamente l’ennesima invasione della loro privacy, invece gli attivisti non ci stanno e partono al contrattacco.

Le tecnologie che usano il riconoscimento facciale sono sempre più diffuse, e se in certi casi si rivelano utili, spesso finiscono invece per diventare un umiliante strumento di discriminazione. Aumentano infatti le vicende di cronaca che raccontano di sistemi “intelligenti” che utilizzano i dati biometrici del volto umano per individuare determinate persone e colpirle con provvedimenti punitivi come negare loro l’accesso a supermercati per fare acquisti, oppure identificarle come ospiti sgraditi cacciandole da eventi pubblici, e in certi casi privarle di loro diritti come quello di manifestare pacificamente, arrivando talvolta perfino ad arrestarle ingiustamente.

Gli utenti di Facebook e Instagram – e i non utenti i cui dati possono essere comunque presenti sulle due piattaforme perché pubblicati da utenti - hanno il diritto di opporsi al trattamento dei propri dati personali per l’addestramento dell’intelligenza artificiale di Meta, utilizzando i moduli resi disponibili online dalla società.

Il tema della medicina d'iniziativa - in sintesi, un modello assistenziale di gestione delle malattie croniche che punta sulla prevenzione attraverso l'analisi dei big data e l'uso dell'intelligenza artificiale - era già stato affrontato dal Garante nel parere reso lo scorso maggio alla medesima Provincia su un disegno di legge, poi divenuto legge. Già in quell'occasione l'Autorità aveva ritenuto che l'articolo del d.d.l, con il quale la Provincia intendeva introdurre una idonea base normativa per consentire il trattamento dei dati sanitari a fini di medicina d'iniziativa, presentasse numerose criticità.

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