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L’annuncio, quasi un mese fa, da parte del Ceo di Facebook (ora Meta) della volontà di creare uno spazio condiviso che vada oltre il semplice social network, per approdare verso un’esperienza il più completa possibile, sia virtuale che in realtà aumentata, sia per svago che per lavoro, ha dato ufficialmente il via alla corsa per colonizzare questo nuovo spazio concettuale denominato “metaverso”.

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Siamo agli inizi dell’epoca dominata dal metaverso, una realtà ibrida tra quella digitale e quella aumentata dove, entro i prossimi dieci o quindici anni secondo le previsioni, i nostri avatar si muoveranno e interagiranno. Il tema della privacy, in particolare, assume un’importanza centrale considerando l’enorme mole di dati personali che circoleranno ed il valore di cui godranno per le imprese che faranno business grazie alla loro raccolta e trattamento. Quali saranno quindi gli impatti che il metaverso apre dal punto di vista giuridico per imprese e utenti sotto il profilo della tutela e della sicurezza dei dati? Difficile ad oggi fare previsioni precise, certo è che le implicazioni generano non pochi interrogativi.

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Negli ultimi decenni i social network di maggiore successo hanno raggiunto fatturati annui da miliardi di dollari offrendo servizi apparentemente gratuiti agli utenti, ma in realtà quando ci iscriviamo ad un social paghiamo con i nostri dati personali, che vengono spesso sfruttati in modo indiscriminato per finalità di marketing ed altri scopi poco trasparenti che un adulto esperto e maturo non riesce a comprendere pienamente neanche se si prende il tempo per leggere le lunghissime e complicate informative sulla privacy che gli vengono sottoposte quando intende aprire un account. La faccenda diventa ancora più pericolosa quando a poter ottenere qualcosa di gratis con un semplice click è una persona inesperta e vulnerabile come lo è un bambino, che navigando sul web si trova di fronte ad una sorta di “paese dei balocchi” in cui non è tutto oro quello che luccica.

La Datatilsynet, l’autorità norvegese per la protezione dei dati che ha recentemente multato Meta per 7 milioni di dollari sta ora indagando sul nuovo modello di abbonamento senza pubblicità dell’azienda, e intensifica la sua battaglia legale contro la società madre di Facebook e Instagram.

Facebook ancora sotto accusa sul fronte della violazione della privacy: secondo quando scrive il New York Times, nel tempo il colosso dei social network guidato da Mark Zuckerberk avrebbe stipulato accordi con almeno 60 produttori di smartphone, tablet e altri dispositivi mobili, permettendo loro di accedere ai dati personali di migliaia di utenti e dei loro 'amici' senza esplicito consenso.

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In riferimento ai Ray-Ban Stories, occhiali “smart” dotati della funzionalità “Facebook View” e due videocamere inserite all’interno della montatura per scattare fotografie e registrare video, quando non si hanno le mani libere o si vuole cogliere al volo un momento per catturare un’immagine senza dover utilizzare il proprio smartphone, il Garante della privacy italiano vuole vederci chiaro.

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Mercoledì, 23 Giugno 2021 13:03

Privacy by default anche per Google e Facebook?

A pochi giorni dall’inaugurazione in pompa magna del Global Cyber Security and Privacy Protection Transparency Center, gestito da Huawei e ubicato a Dongguan in Cina, e vista la discussione che sta avvenendo all’interno degli organi istituzionali del nostro Paese in merito al decreto-legge sull’Agenzia sulla cybersicurezza, ci indicano ancora una volta con chiarezza quanto il tema della privacy sia fondamentale quando si parla di cyber security.

Il 2018, nell’universo digitale, è probabilmente destinato a essere ricordato come l’anno dello scandalo di Cambridge Analytica e della riforma – sin qui mancata – della disciplina europea sul diritto d’autore. Ma il 2018 è anche l’anno con il quale, più che in passato, il mondo ha preso coscienza della relazione complessa, le cui regole sono tutte da scrivere, tra uomini e intelligenza artificiale.

Si torna a parlare di "sicurezza" sui social. A farlo è stato Matteo Viviani in un servizio, al quale ne seguiranno degli altri, della trasmissione Le Iene andato in onda nella puntata di ieri sera. L'inviato del noto programma televisivo è riuscito, in 16 minuti di video, a far crollare le certezze degli utenti social sulla questione privacy.

I social network possono sospendere gli account degli utenti no vax e rimuovere i contenuti che veicolano disinformazione sanitaria. Lo ha stabilito il Tribunale di Varese con l’ordinanza 1181/2022, che fa il punto sulla complessa questione del controllo delle piattaforme sui contenuti pubblicati dagli utenti.

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Privacy Day Forum 2023: i momenti salienti

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