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Sistemi automatizzati e privacy, lavoratori più tutelati con il 'Decreto Trasparenza'
I sistemi automatizzati, siano essi decisionali o di monitoraggio, fanno parte della realtà lavorativa, anche italiana. Ritenere che l’utilizzo di tali sistemi sia confinato esclusivamente sulle attività di consegna di cibo a domicilio nei centri urbani (cd. Riders) costituisce una visione miope della realtà lavorativa.
Smart working, attenzione ai controlli sui lavoratori
L’emergenza coronavirus ha accelerato l’adozione del lavoro agile, ma le aziende e le persone potrebbero non essere pronte a gestirlo correttamente. Per esempio, sul fronte controlli. Il ricorso massiccio al lavoro agile per far fronte all’emergenza coronavirus può rivelarsi una grande opportunità per il mercato del lavoro: le aziende e i lavoratori possono scoprire, infatti, i benefici derivanti da una forma di svolgimento della prestazione di lavoro che mette al centro del rapporto tra le parti la fiducia, come leva per ottenere più produttività ma anche più flessibilità nella gestione del tempo e dello spazio di lavoro.
Smart working, difficile equilibrio tra tutela della privacy e beni aziendali
Lo smart working è la “nuova” prassi. E nuovo è l’interesse per le disposizioni che riguardano le possibilità, e soprattutto i limiti, del controllo sull’attività dei dipendenti. Specialmente da remoto. La disciplina trova le proprie fonti nel diritto del lavoro e della privacy. Ma non va dimenticata la sua rilevanza per il diritto penale e, a determinate condizioni, anche per l’ente datore di lavoro, in virtù della responsabilità amministrativa da reato ai sensi del D.Lgs. 231/01.
Snellire la gestione delle presenze del personale non è un valido motivo per rilevare le impronte digitali dei dipendenti
Un recente provvedimento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (Provv. 10.11.2022, doc. web n.9832838) si è occupato nuovamente del trattamento di dati biometrici in ambienti di lavoro affermando che è ammissibile solo se necessario per adempiere gli obblighi ed esercitare i diritti del datore di lavoro previsti da una disposizione normativa.
Social network, quando un commento può costare il posto di lavoro
Si gioca sul crinale tra diritto di critica e offesa gratuita la partita tra lavoratori e aziende per i commenti sui social network. Se è lecito scrivere post commentando fatti realmente accaduti con un linguaggio moderato, la giurisprudenza non ammette invettive personali e attacchi non giustificati. Lo ha ribadito il Tribunale di Taranto con la sentenza del 26 luglio scorso , che si è pronunciata sul caso del lavoratore dell’ex Ilva licenziato per giusta causa per aver scritto sulla propria bacheca Facebook un commento su una fiction in cui accusava gli autori di non aver avuto il coraggio di fare il nome dell’azienda, concludendo con la parola «assassini».
Solo il datore di lavoro può disporre controlli a distanza
La titolarità e la responsabilità del trattamento dei dati acquisiti attraverso impianti audiovisivi secondo l'articolo 4 della legge 300/1979 (statuto dei lavoratori), non possono far capo a soggetti diversi dal datore di lavoro, al fine di evitare che vengano disattese le finalità per le quali la installazione di tali impianti può essere autorizzata. Tale è il principio contenuto nella sentenza 15644/2022 del Tar Lazio e ripreso dall’Ispettorato nazionale del lavoro nella nota 7482/2022, riguardante il ricorso avverso il provvedimento di rigetto di una istanza volta a ottenere l'installazione di impianti audiovisivi.
Sottrarre dati dal pc aziendale non è solo illecito civile ma anche penale
I dati contenuti nel pc aziendale in dotazione al dipendente e utilizzati per lo svolgimento dell’attività lavorativa sono patrimonio aziendale. Pertanto, il dipendente che cancelli o manipoli o trasferisca all’esterno tali dati attua una condotta disciplinarmente rilevante, commette illecito civile e penale e può essere tenuto al risarcimento dei danni. Per dimostrare la condotta illecita del dipendente, il datore di lavoro può legittimamente acquisire e produrre in giudizio i messaggi privati inviati dal lavoratore a soggetti terzi. Così ha stabilito la Cassazione nella pronuncia 33809/2021 che ha affrontato il tema anche sotto il profilo della privacy e dei controlli difensivi.
Sparlare di superiori e colleghi nella chat aziendale non può essere motivo di licenziamento se il dipendente non è stato informato sui possibili controlli
L’azienda non può utilizzare, ai fini del licenziamento, la conversazione privata di una dipendente che, nella chat aziendale, sparla di un superiore e di alcune colleghe, se non ha comunicato ai dipendenti la possibilità di fare controlli. Una deroga, sarebbe stata possibile solo in caso di controlli difensivi, destinati a proteggere beni aziendali o finalizzati a contestazioni sulla prestazione lavorativa. Ma nulla di tutto questo era stato eccepito alla lavoratrice. Il suo sfogo dunque, destinato ad un solo interlocutore, rientra nella libera manifestazione del pensiero.
Stop all’uso dei dati biometrici per identificare i lavoratori
L’introduzione di un sistema di timbratura per rilevare le presenze, con terminale biometrico (rilevamento delle impronte digitali), per dipendenti e collaboratori, con lo scopo di registrare l’accesso e la presenza in azienda, è un trattamento illegittimo di dati, perché privo di valida base giuridica, oltre che contrario ai principi di liceità, necessità e proporzionalità. È il principio contenuto nell’ordinanza ingiunzione del 22 novembre del 2022, pronunciata dal Garante della Privacy a conclusione di un procedimento sanzionatorio avviato contro una società, che offre lo spunto per analizzare l’uso di dati biometrici nell’ambito del rapporto di lavoro.
Strumenti di lavoro utilizzati illecitamente, licenziamento valido se è rispettata la normativa privacy
Il licenziamento del lavoratore che utilizza gli strumenti di lavoro per finalità estranee alla prestazione lavorativa è legittimo se è rispettata la normativa privacy. È quanto stabilito dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Cassino che, con ordinanza del 23 novembre 2020, ha respinto il ricorso promosso da un lavoratore, accogliendo le tesi difensive del datore di lavoro.