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Licenziamento e investigazioni private: quando il lavoratore ha diritto a visionare il report investigativo, la licenza e il rispetto della normativa privacy

Un’azienda ha il sospetto che un suo dipendente abusi dei permessi di cui alla Legge 104/1992. Il datore di lavoro si affida quindi ad un investigatore privato e, a seguito delle attività di indagine, licenzia il lavoratore. Il Tribunale ritiene legittimo il licenziamento, mentre la competente Corte di Appello lo annulla e ordina il reintegro del lavoratore. La controversia giunge quindi in Cassazione.

Secondo gli Ermellini la corte territoriale ha correttamente ravvisato la violazione del diritto di difesa in quanto la datrice di lavoro ha messo a disposizione il report investigativo solo nel corso del giudizio, e non ha provato la legittimità degli investigatori a svolgere la propria attività, sia in termini di autorizzazioni di polizia sia di rispetto della privacy.

L’azienda datrice di lavoro ha sollevato la questione della violazione dell’articolo 7 dello statuto dei lavoratori, in quanto la Corte di Appello ha ritenuto rilevante l’omissione della condivisione del report investigativo in sede di contestazione. Ebbene, quest’ultima “ha la funzione di indicare il fatto contestato al fine di consentire la difesa del lavoratore, mentre non ha per oggetto le relative prove, soprattutto per i fatti che, svolgendosi fuori dall’azienda, sfuggono alla diretta cognizione del datore di lavoro; conseguentemente è sufficiente che quest’ultimo indichi la fonte della sua conoscenza”.

Nella vicenda che si narra, però, l’azienda ha errato la redazione della contestazione perché “non sono stati preindicati specificatamente i fatti addebitati e, peraltro, non è mai stato dimostrato (neppure in giudizio, ndr) che il personale autore del report fosse autorizzato”.

Ne consegue che qualora il datore di lavoro decida di non riportare, nella lettera di contestazione consegnata al dipendente, le precise circostanze rilevate dall’investigatore così come da questi riferite, dovrà consentire al lavoratore di accedere al report investigativo al fine di consentirgli la migliore ricostruzione possibile dei fatti e, conseguentemente, di meglio esercitare il proprio diritto di difesa.

Qualora invece l’azienda riportasse nella contestazione i fatti così come precisamente accertati e riferiti dal detective, la consultazione del report investigativo nulla aggiungerebbe alle possibilità di difesa del lavoratore, il cui diritto non sarebbe quindi compromesso. In entrambe le ipotesi l’interessato ha il diritto di accertarsi che l’investigatore sia autorizzato ad esercitare la professione e che, nell’esecuzione delle attività concessegli dall’ex articolo 134 TULPS, abbia rispettato i dettami previsti in materia di privacy e riservatezza, con particolare riferimento a quelli indicati dal Registro dei Provvedimenti n. 512 del 19.12.2018, specificatamente emanato per il contesto dell’investigazione privata.

Per quanto precede, con l’ordinanza numero 24558 del 4 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di annullamento del licenziamento con conseguente ordine di reintegro.

Note sull'Autore

Andrea Pedicone Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali, Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017 Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni, socio membro Federprivacy.

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