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Giusta la sanzione al militare che parla male dei colleghi su WhatsApp
Giusta la sanzione disciplinare al militare che condivide con un collega una serie di messaggi di whatsapp con i quali critica e parla male di altri ufficiali. Lo stabilisce il Tar Sardegna con la sentenza del 14 marzo scorso n. 174.
I limiti della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla responsabilità per i commenti sui social
È ancora una volta la Corte europea dei diritti dell’uomo a intervenire per assicurare la libertà di espressione su questioni di interesse generale, anche nel caso di utilizzo di espressioni sferzanti e per chiarire il perimetro entro il quale può essere affermata una responsabilità per i commenti altrui apparsi sulla propria pagina Facebook.
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Il video offensivo su TikTok è sempre diffamazione
Con il video offensivo su TikTok scatta sempre la diffamazione aggravata e non la meno grave e depenalizzata ingiuria, anche se la persona alla quale è indirizzato l’insulto è virtualmente presente.
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Insultare un politico su Facebook può configurare il reato di diffamazione aggravata
Commette il reato di diffamazione aggravata colui che condivide sul proprio profilo Facebook fotografie pubblicate sulla pagina ufficiale di un noto politico locale, commentandole con frasi palesemente offensive del suo onore e decoro e con espressioni poco gratificanti sulla sua attività politica e imprenditoriale. A dirlo è il Tribunale di Vicenza nella sentenza n. 863/2021, sottolineando la forza di diffusione del messaggio affidato ai social network, capace potenzialmente di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, nonché la maggiore capacità lesiva dell'immagine in relazione al ruolo pubblico ricoperto dalla persona offesa.
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L'invio a più caselle Pec di un messaggio diffamatorio non fa scattare l'aggravante della diffusione su internet
L'invio di un messaggio di posta elettronica certificata - anche a più destinatari - non costituisce di per sè l'aggravante del terzo comma dell'articolo 595 del Codice penale che punisce la diffamazione. Inizialmente la norma prvedeva l'aggravante per la condotta commessa a mezzo stampa. Oggi la nozione è quella della potenziale pubblicità che, con i nuovi mezze di comunicazione, può raggiungere un contenuto diffamatorio. L'immissione in internet di un messaggio è già stata considerata dalla giurisprudenza come presunzione di un alto rischio di diffusione dei contenuti condivisi.
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Lavoro: necessarie policy chiare per evitare l’effetto boomerang dei post sui social
L’utilizzo dei social media diventa ogni giorno di più un argomento critico sul posto di lavoro: la crescente sensibilità delle aziende verso le comunicazioni dei propri dipendenti, unita all’uso sempre più massiccio che questi fanno delle comunicazioni “social”, aumenta in maniera esponenziale il rischio di conflitti su questo tema. Conflitti che sono acuiti da un problema: il confine tra le condotte lecite e quelle illecite non è sempre facile da definire.
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Lecito criticare l'atleta professionista su Facebook, ma solo con toni appropriati e misurati
Ai fini del riconoscimento dell'esimente prevista dalla disciplina penalistica in riferimento al legittimo esercizio del diritto di critica di comportamenti (asseriti come) professionalmente e umanamente "sleali" di un atleta professionista, qualora le frasi diffamatorie siano diffuse a mezzo social network, il giudice, nell'apprezzare il requisito della continenza, deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato ma anche della "eccentricità" delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al "ludibrio" della sua immagine, sia esposta al "pubblico disprezzo".
Legittimo il licenziamento del dipendente che offende più volte i capi su Facebook
È legittimo il licenziamento del dipendente che ha pubblicato plurimi insulti ai suoi capi sulla propria pagina Facebook. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 27939/2021, respingendo il ricorso di un account manager di Tim. Confermata dunque la decisione della Corte di appello di Roma che nel novembre 2018, aveva respinto il ricorso contro il licenziamento "per giusta causa" di un addetto alla "Gestione della comunicazione pubblicitaria nazionale ad uso locale" (insegne della grande distribuzione, eventi, promozione locale dei negozi).
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Legittimo il licenziamento del sindacalista che lede la reputazione della sua azienda su Facebook
La qualifica di sindacalista non salva il dipendente dal licenziamento per le espressioni lesive della reputazione dell’azienda pubblicate sul suo profilo Facebook aperto. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 35922/2023.
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Liti tra mamme su Facebook: è punibile quella che risponde con le offese alle provocazioni dell’altra
Secondo a cassazione la mamma che offende un’altra sui social è punibile a meno che non sussistano cause di esclusioni previste come l’art. 599 codice penale o l’art. 131 bis del Codice Penale.
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