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Canada, multa da 9,5 milioni di dollari a Facebook per aver fornito informazioni false sulla privacy degli utenti
E’ di 9 milioni di dollari la sanzione che Facebook dovrà pagare per aver fatto "affermazioni false o fuorvianti sulla privacy delle informazioni personali dei canadesi". A renderlo noto è un comunicato dell’Agenzia per la concorrenza sul mercato del Canada. La decisione è stata adottata in seguito a un'indagine condotta sulle pratiche sulle privacy tenute dalla società d Mark Zuckerberg tra il 2012 e il 2018.
Carcere per chi commette stalking attraverso post pubblici su Facebook
Non resta impunito chi molesta e offende su Facebook. Per tali condotte, infatti, il rischio è la condanna per il reato di stalking. Lo ha chiarito la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 45141/2019, confermando la condanna a dieci mesi di reclusione per il reato di atti persecutori nei confronti di un uomo che reiteratamente aveva offeso, molestato e minacciato una donna, i suoi familiari e persone a lei vicine, attraverso post pubblici su Facebook.
Cassazione: offese nella chat riservata di Facebook, illegittimo il licenziamento disciplinare
Non costituisce condotta diffamatoria l'utilizzo di una chat riservata ai componenti di una organizzazione sindacale su Facebook per scambiare valutazioni e giudizi di contenuto anche pesantemente negativo relativi alla società a cui i lavoratori appartengono e al suo amministratore.
Chi offende su Facebook rischia una condanna anche se non fa il nome della persona presa di mira
Rischia una condanna per diffamazione aggravata chi insulta altri su Facebook, anche se magari pensa di farla franca solo perché evita di fare il nome della persona offesa. Se infatti gli aggettivi usati sono sufficienti per individuare la persona presa di mira, non sarà poi possibile nascondersi dietro un dito per sottrarsi alle proprie colpe. È il caso di una donna che sul noto social network aveva scritto offese pesanti riferendosi a una conoscente definendola in modo sprezzante “nana” e “spazzina”.
Consiglio di Stato, Facebook non può pubblicizzare il proprio servizio come gratuito, e l'utente deve sapere come vengono usati i suoi dati
Porta aperta alle class action e alle richieste danni contro il social network che esagera sulla gratuità dei servizi offerti agli utenti digitali. I dati personali sono inseriti in un circuito di sfruttamento commerciale e tutto questo va chiarito fin da subito. Se, invece, si pone l'accento magnificando la gratuità del servizio, allora si commette pubblicità ingannevole. E l'Antitrust applica la relativa sanzione pecuniaria e può obbligare a diffondere un comunicato che metta in evidenza la scorrettezza. Così come è capitato a Facebook, cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha applicato una sanzione di 5 milioni di euro, obbligando a pubblicare un avviso in cui dichiara di avere violato il codice del consumo, per mancata adeguata informazione agli utenti. Le sanzioni sono state confermate dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2631 del 29/3/2021.
Corte UE: anche chi gestisce fanpage su Facebook risponde del trattamento di dati
L'amministratore di una fanpage su Facebook è responsabile assieme a Facebook del trattamento dei dati dei visitatori della sua pagina. Questo l’esito della sentenza emessa dalla Corte Ue nella causa C-210/16. L'autorità per la protezione dei dati dello Stato membro in cui tale amministratore ha la propria sede può agire, in forza della direttiva 95/46 , sia nei confronti di quest'ultimo sia nei confronti della filiale di Facebook stabilita in tale medesimo Stato.
Corte Ue: un sito web che usa il pulsante "mi piace" è congiuntamente responsabile con Facebook
La tutela della privacy potrebbe rendere più complicato anche mettere un «like» su Facebook. E, di conseguenza, impattare sulle strategie delle aziende che vendono sul web. Lo lascia prevedere la sentenza con cui ieri la Corte Ue ha deciso sulla causa C-40/17, stabilendo che il gestore di un sito internet in cui è possibile cliccare sull’icona «like» può essere ritenuto responsabile della raccolta e della trasmissione dei dati personali dei visitatori insieme con Facebook.
Così Facebook ha fornito i nostri dati a giganti come Amazon, Microsoft e Netflix
Per anni, Facebook ha dato ad alcune delle più grandi aziende tecnologiche al mondo un accesso privilegiato ai dati personali degli utenti. Una specie di pacchetto all inclusive, dove gli optional erano le informazioni riservate di milioni di persone. Una procedura che è andata ben al di là di quelle che sono le regole sulla privacy. A rivelarlo, con un'inchiestache al cospetto la storia di Cambridge Analytica sembra un romanzo estivo, è il New York Times.
Da Facebook pressioni su politici per le leggi sulla privacy
Facebook avrebbe tentato di esercitare pressioni su diversi politici in varie parti del mondo affinché facessero lobbying a favore dell'azienda contro le leggi sulla protezione dei dati. Lo scrive l'Observer, citando nuovi documenti che il settimanale insieme con la pubblicazione Computer Weekly ha preso in visione. Tra i politici citati l'ex cancelliere dello Scacchiere britannico, George Osborne, e l'ex premier irlandese, Enda Kenny.
Diffamatorio il post di Facebook che ritrae operai comunali facendo notare che non lavorano
Attenzione alle critiche espresse sul proprio profilo Facebook. Infatti, può costituire diffamazione la diffusione di foto che riprendono un momento "criticabile" della vita di terzi dando, in pasto all'estesa platea dei social, l'impressione che lo scatto sia rappresentativo di una condotta generalizzata di chi vi è ritratto e di cui così si offende la reputazione. La Corte di cassazione con la sentenza n. 11426/2021 ha respinto il ricorso contro la condanna per diffamazione di un privato cittadino che dopo aver fotografato gli operai di un cantiere pubblico postava la foto su Facebook con una discalia che puntava il dito - con ironia e senza espressioni formalmente offensive - sull'attegiamento estremamente rilassato se non disinteressato rispetto al lavoro che questi stavano svolgendo.
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