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Proposta di legge negli Stati Uniti per vietare i social ai minori di 13 anni: ‘salute dei giovani a rischio e violazioni sulla privacy’

In Europa, in particolare in Italia e Francia, il Garante della Privacy e quello dell’Infanzia si erano già espressi sul tema, sventolando una proposta simile. Ora sono gli Stati Uniti a voler affrontare l’argomento attraverso una proposta bipartisan che trova concordi tanto i democratici, quanto i repubblicani. I social network hanno degli effetti negativi sui minori e questa convinzione ha portato al Senato americano un disegno di legge ribattezzato «Protecting Kids on Social Media Act». Secondo questo provvedimento, ai minori di 13 anni le piattaforme digitali 2.0 verrebbero completamente precluse, mentre ai ragazzi che hanno dai 13 ai 17 anni per poter creare un account sarà necessario il consenso dei genitori. Ad ogni modo va comunque chiarito come poter garantire il rispetto della norma, al fine di impedirne le violazioni.

Le motivazioni di questa proposta sono legate all’impatto dei social sulla salute mentale dei più giovani, dal momento che si è registrato un aumento, per i legislatori riconducibile a queste piattaforme, dei suicidi e di casi di autolesionismo in molti ragazzi (principale rischio di morte prematura nel Paese). In totale, considerate anche le fasce adulte, nel 2021, anno per il quale si hanno i dati completi, si sono suicidate 47.646 persone, praticamente un caso ogni 11 minuti.

La proposta sembra ridondante, nel momento in cui il Children’s Online Privacy Protection Act già vigente, conosciuto più comunemente come «Coppa», proibirebbe l’utilizzo delle piattaforme digitali ai minori di 13 anni, ma queste regole non sono mai state prese seriamente in considerazione. Il nuovo provvedimento verrebbe invece presentato in un periodo nel quale lo scontro tra i big tech che governano i social network e le autorità statali è già manifesto. Se da una parte, tra le ipotesi, viene già discusso il bando di TikTok o di altre piattaforme affini, anche per motivi politici e strategici, dall’altra non mancano accuse di violazioni rivolte ai vertici di aziende come Meta, in particolare verso la sua Facebook.

L’accusa rivolta all’azienda di Mark Zuckerberg sarebbe quella di violare costantemente le regole legate alla privacy, in particolare sulla possibilità di monetizzare e trarre profitto dai dati riguardanti i minori. Il tutto con una comunicazione, riporta il quotidiano britannico Guardian, poco trasparente e ingannevole per i genitori stessi. La denuncia viene in particolare dalla Federal Trade Commission (Ftc), che si occupa della correttezza della concorrenza di mercato e propone quindi maggiore severità sulle regole legate alla privacy dei più piccoli. Sotto la lente di ingrandimento proprio l’applicazione di messaggistica Messenger, nella sua versione «Kids» (rilasciata nel 2017), che non rispetterebbe i patti stipulati sulla riservatezza nel 2019.

«Non deve esistere alcuna possibilità di trarre profitto dai dati personali degli under 18», questo il monito dell’autorità, con un riferimento preciso anche al riconoscimento facciale come strumento per sbloccare i dispositivi elettronici utilizzati. Alla notizia, il valore delle azioni di Facebook è calato in borsa del 2%, anche se dall’azienda si parla di mossa politica per danneggiare Meta.

Lo psichiatra Paolo Crepet, quest'anno al Privacy Day Forum

(Nella foto: lo psichiatra Paolo Crepet, quest'anno al Privacy Day Forum per parlare degli effetti che i social producono sui giovani)

Una vicenda che ha già dei precedenti, dal momento che già nel 2019 Facebook pagò una multa record di 5 miliardi, per violazioni ai danni della privacy degli utenti che risalivano addirittura al 2012. Il tutto si aggiunge a una presunta posizione dominante per pubblicità e annunci online che violerebbe apertamente le norme antitrust, oltre al già noto caso di Cambridge Analytica. La battaglia si è ora spostata sui ragazzi, anche se il completo divieto di utilizzo delle piattaforme, premesso che possa essere in futuro rispettato, non lascia perplessi solo i soggetti colpiti, ma anche parte dell’opinione pubblica, perché ritenuta una misura che andrebbe ben oltre la tutela dei consumatori.

Fonte: Il Corriere della Sera

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