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Facebook e il pericoloso passo in avanti verso la privatizzazione della giustizia digitale

«La libertà di espressione è sovrana, ma ci sono momenti in cui i contenuti possono essere in contrasto con autenticità, sicurezza, privacy e dignità. Alcune forme di libera parola possono mettere a rischio l'abilità di altre persone di esprimersi liberamente. Quindi bisogna trovare un bilanciamento». Con queste parole Facebook ha annunciato ieri il lancio di un non facilmente traducibile “Indipendent Oversight Board”, una sorta di “consiglio globale di supervisione” che si autodefinisce indipendente.

«La libertà di espressione è sovrana, ma ci sono momenti in cui i contenuti possono essere in contrasto con autenticità, sicurezza, privacy e dignità. Alcune forme di libera parola possono mettere a rischio l'abilità di altre persone di esprimersi liberamente. Quindi bisogna trovare un bilanciamento». Con queste parole Facebook ha annunciato ieri il lancio di un non facilmente traducibile “Indipendent Oversight Board”, una sorta di “consiglio globale di supervisione” che si autodefinisce indipendente.

Si tratta di una decisione che, come tutte quelle adottate oggi dalle grandi piattaforme digitali, sempre più veri e propri poteri privati che esercitano funzioni para-costituzionali, ha delle ripercussioni di grande rilevanza pubblicistica, e a prima vista piuttosto problematiche.

Due sono i punti che destano più perplessità, il primo riguarda il ruolo di questo nuovo organismo. Il secondo i criteri di nomina dello stesso che si comporrà, sembra, di quaranta esperti in carica per tre anni.

Per quanto riguarda il primo aspetto, questo organismo avrà di fatto l'ultima parola sulle operazioni di bilanciamento tra diritti fondamentali in gioco operate dal social network. Una sorta di istanza di appello a cui potranno rivolgersi gli utenti per mettere in discussione le decisioni di Facebook relative alla permanenza o rimozione di determinati contenuti. Si tratta di un esercizio di delicatezza massima, perché non si dimentichi che la prima operazione di bilanciamento su cui il nuovo organo dovrà pronunciarsi, è condotta, “in primo grado”, da un operatore privato, parte del gioco, che compie un esercizio di ponderazione tra diritti fondamentali che, nel costituzionalismo moderno, è in genere affidato ad autorità giurisdizionali o comunque di rilevanza pubblicistica.

Ora, con la decisione di Facebook di istituire tale nuovo organismo, il diritto pubblico fa un ulteriore passo indietro e quel processo di privatizzazione della “giustizia digitale”, invece, un pericoloso passo avanti. Si crea di fatto un giudizio d'appello che in cui si dovrà decidere, a livello globale, è questo che il termine oversight sembra suggerire, su questioni legate a hate speech, tutela dei minori, conflitti tra libertà di informazione e privacy.

Sfugge però il piccolo dettaglio che, per definizione, non esiste una soluzione unica a livello globale per tali tipi di conflitti perché, solo per fare un esempio, i paradigmi a fondamento, rispettivamente, del costituzionalismo europeo e statunitense in materia di libertà di espressione sono assai diversi, perché diversi sono i valori, dignità nel primo caso e libertà nel secondo, alla base dei due sistemi presi in considerazione. Si tratta dunque di una pericolosa semplificazione.

Ancor più problematica la questione relativa alle modalità di nomina di questo nuovo organismo, che viene definito, come si diceva, indipendente, ma la cui indipendenza è tutta da dimostrare. A leggere, infatti, quanto scrive il social network presentando l'Indipendent Oversight Board, Facebook, si legge testualmente, consapevole del fatto che non sarebbe opportuno nominare tutti i suoi membri, “selezionerà un piccolo gruppo iniziale di componenti che aiuterà nel processo di selezione dei membri restanti”. È fin troppo evidente che, nonostante la citata consapevolezza del social network, si è ben lontani dal minimo richiesto perché ci sia una effettiva indipendenza dell'organo in questione nei confronti del social network le cui decisioni lo stesso organo è competente a valutare e se del caso a cassare. Quando è in gioco, come in questo caso, la tutela dei diritti fondamentali, il livello richiesto di indipendenza del decisore deve essere massimo, tanto più all'interno, come si diceva, di un sistema giustizia di matrice privatistica.

In altre parole, si può fare di meglio. Specie se si riflette sul fatto, come ha fatto recentemente sulle pagine del Il Foglio, il Prof. Pitruzzella, Avvocato generale presso la Corte di giustizia, che le piattaforme, e i social media in particolare, sono diventati oggi i forum pubblici in cui si sviluppa il dibattito e il confronto delle idee. Inoltre, si vuole qui aggiungere , si tratta di “agorà digitali” assai anomale, perché di fatto spazi di proprietà di piattaforme private che però esercitano a tutti gli effetti competenze, ad iniziare con le operazioni di bilanciamento che lo stesso social ammette, come si legge in apertura di questo pezzo, di fare, di natura schiettamente costituzionale. Di conseguenza, le garanzie in questione, a cominciare dunque dalle esigenze di indipedenza e terzietà del decisore finale, non possono essere minimamente inferiori a quelle previste (ed imposte) dal diritto costituzionale ai poteri pubblici che operano lo stesso tipo di attività.

Fonte: Il Sole 24 Ore - Articolo di Oreste Pollicino

Note Autore

Oreste Pollicino Oreste Pollicino

Professore ordinario di diritto costizionale e diritto dei media presso l'Università Bocconi di Milano. Twitter: @OrestePollicino

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