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Nicola Bernardi

Presidente di Federprivacy. Consulente del Lavoro. Consulente in materia di protezione dati personali e Privacy Officer certificato TÜV Italia, Of Counsel Ict Legal Consulting, Lead Auditor ISO/IEC 27001:2013 per i Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni. Twitter: @Nicola_Bernardi

Se state usando un’app per il monitoraggio del ciclo mestruale e della gravidanza, Facebook (e in certi casi anche le forze dell’ordine) potrebbero venire a conoscenza che siete in dolce attesa ancor prima del vostro partner.

In data 1° agosto 2022, la Corte di Giustizia dell’UE ha stabilito che tutti i dati in grado di rivelare informazioni sensibili di un individuo mediante un «trattamento intellettuale», come un confronto o una semplice deduzione, rientrano nel novero delle «categorie particolari» di dati personali ai sensi dell’art. 9 del GDPR, ovvero quelle informazioni che necessitano di particolari tutele come quelle che riguardano opinioni politiche, convinzioni religiose o filosofiche, la salute o l’orientamento sessuale della persona, e altri dati che rivestono particolare delicatezza per l’impatto che hanno sulla sfera privata di una persona.

Secondo le stime di McKinsey, entro il 2030 le auto connesse ad internet saranno il 95% del totale, e nel bene e nel male gli autoveicoli moderni non sono più un semplice mezzo di trasporto, ma stanno diventando sempre più digitali e simili proprio agli smartphone a cui vengono spesso collegati, con tanto di webcam davanti e didietro, sistemi di geolocalizzazione, e app che raccolgono enormi quantità di dati, comprese le informazioni personali dei rispettivi conducenti.

Banca profilava illecitamente i propri clienti analizzando i loro comportamenti online e controllando perfino quanto usavano la stampante per riprodurre gli estratti conto. Insospettiti da una comunicazione ricevuta dall’istituto bancario si erano rivolti all’autorità per la privacy. Non solo il monitoraggio avveniva senza il consenso degli interessati, ma le informazioni su tale trattamento di dati personali erano fornite tra le righe di una lettera di ben 28 pagine.

Un dato emerso dall’ultima Relazione annuale del Garante per Privacy, è il numero dei data breach notificati lo scorso anno: con una media di quasi 6 al giorno, sono state infatti complessivamente ben 2071 le violazioni comunicate all’Autorità per la protezione dei dati personali, con un aumento addirittura di circa il 50% rispetto all’anno precedente. Anche se la definizione anglofona “data breach” evoca tipicamente nelle menti degli addetti ai lavori le conseguenze di attacchi hacker ed altri disastri di natura informatica, leggendo la relazione del Garante si apprende però che non sempre c’è la mano oscura dei cyber criminali quando si verifica una violazione sui dati.

Se ha destato scalpore nelle scorse settimane il caso delle oltre cento infermiere della ASL Toscana che venivano spiate a loro insaputa da una microcamera nascosta mentre si facevano la doccia, a quanto pare non si tratta di un caso isolato, ma piuttosto di un preoccupante fenomeno che si sta diffondendo sempre più, e non solo nei luoghi di lavoro. È infatti di qualche giorno fa la notizia in cui il titolare di un Bed and Breakfast in Sardegna aveva installato una telecamera in uno degli alloggi che dava in affitto per le vacanze estive per spiare le sue ignare clienti nell’intimità della loro stanza.

Da nostre alleate per proteggerci da ladri e malintenzionati a nemiche della nostra privacy che ci spiano nell’intimità delle nostre abitazioni. Sono le telecamere dei sistemi di videosorveglianza che sempre più spesso vengono prese di mira dai pirati informatici. Nell’operazione “Rear Window” la Polizia Postale e la Procura di Milano hanno sgominato un’organizzazione di criminali che spiavano migliaia di persone inserendosi nei sistemi informatici delle telecamere di videosorveglianza all’interno di spazi particolarmente intimi come camere da letto e bagni di abitazioni, alberghi, uffici, spogliatoi di palestre e piscine, con l’obiettivo di carpire immagini che ritraggono le ignare vittime durante la consumazione di rapporti sessuali o atti di autoerotismo, per poi poterne fare oggetto di commercio sui social.

Si dovrà ora rassegnare a rispettare la normativa sulla privacy, la cooperativa di pulizie che ogni settimana affiggeva imperterrita nella bacheca aziendale un cartello con le foto dei lavoratori associate a delle “faccine” che rappresentavano i giudizi espressi su di loro e anche le eventuali contestazioni disciplinari adottate nei loro confronti, etichettandoli davanti a colleghi e perfino ad estranei con aggettivi come “assenteista”, “simulatore di malattia”, “scarso servizio”, oppure “licenziato”.

Se per molti che volevano ottenere qualche informazione in più su qualcuno era diventata un’abitudine digitare il suo nominativo sul motore di ricerca per curiosare trai risultati online, adesso con una semplice foto si può setacciare ogni angolo del web per scovare tutti i siti in cui quella persona compare con esiti sorprendenti.

Le città italiane sono sempre più digitali e invase dalle telecamere, ma per evitare di andare verso una società del controllo indiscriminato e non incorrere nelle pesanti sanzioni che sono previste dal GDPR è necessario cambiare urgentemente traiettoria rispetto agli scenari attuali.Infatti uno studio condotto da Federprivacy in collaborazione con Ethos Academy ha evidenziato che con il Regolamento europeo sono state finora già 161 le sanzioni direttamente riferibili a violazioni in materia di videosorveglianza, e solo l'8% delle telecamere sono segnalate da regolari cartelli di informativa minima.

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