NEWS

Cassazione, sì alle intercettazioni se i reati diversi sono connessi

Se il reato è connesso cade il divieto di utilizzare le intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali sono state autorizzate. Le sezioni unite con la sentenza 51/2020, forniscono le motivazioni di un verdetto anticipato da un’informazione provvisoria (si veda il Sole 24 ore del 4 dicembre 2019). Dalle Sezioni unite arriva l’indicazione per superare i divieti tassativi posti dall’articolo 270 del Codice di procedura penale, in nome della privacy, restando in linea con l’articolo 15 della Costituzione, che vieta le “autorizzazioni in bianco” .

 

L’equilibrio tra l’esigenza di riservatezza dei privati e la necessità di contrastare il crimine sta nella verifica di un legame sostanziale, indipendente dalla vicenda processuale, tra il reato per il quale c’è stato il via libera all’intercettazione e il reato emerso grazie all’ascolto. Legame che c’è, ad esempio, nel concorso formale di reati o nel reato continuato.

In caso di imputazioni connesse, in base all’articolo 12 del Codice di rito penale, il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi “diverso” rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dell’intercettazione. Per legittimare l’uso delle intercettazioni che non hanno avuto un espresso via libera, il giudice dovrà indicare «un preciso collegamento tra i fatti per i quali erano state mano a mano autorizzate e prorogate le operazioni di intercettazione e quelli per i quali, anche sulla base delle conversazioni intercettate, è stata confermata la condanna». Il tutto senza valutazioni assertive ma subordinato a una concreta valutazione.

Per i giudici l’ equazione procedimento-reato è smentita, riguardo alle intercettazioni dal comma 1-bis dell’articolo 270, introdotto dalla riforma Orlando (Dlgs 216/2017). Una norma secondo la quale i risultati delle intercettazioni fatte con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile «non possono essere utilizzati come prova di reati diversi da quelli per quali è stato emesso il decreto di autorizzazione». In questa prospettiva il riferimento al reato e non al procedimento è teso a distinguere il regime di utilizzabilità delle intercettazioni.

Solo per il trojan e non per le intercettazioni tradizionali il regime viene delineato riguardo al reato per il quale c’è stata l’autorizzazione. I giudici sul punto ricordano però che nel corso del deposito della sentenza, il decreto legge 161/2019 ha sostituito il comma 1-bis dell’articolo 270. Il nuovo articolo prevede che i risultati delle intercettazioni fra presenti fatte con il trojan su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per provare reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione se compresi tra quelli indicati dall’articolo 266 comma 2-bis. Tra i quali anche i reati commessi dai pubblici ufficiali o dagli incaricati di pubblico servizio. I giudici precisano però che, sul piano interpretativo, resta valida l’indicazione offerta dallo stesso comma 1-bis, nella formulazione vigente alla data della deliberazione della sentenza, per quanto riguarda la distinzione, tra reato e procedimento.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 2 gennaio 2020

Note Autore

FederPrivacy FederPrivacy

Federprivacy è la principale associazione di riferimento in Italia dei professionisti della privacy e della protezione dei dati personali, iscritta presso il Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi della Legge 4/2013. Email: [email protected] 

Prev Carcere per chi commette stalking attraverso post pubblici su Facebook
Next Non scatta il reato se l’uso della banca dati non autorizzato dall’autore è inconsapevole

10 Consigli per prenotare online le vacanze senza brutte sorprese

Mappa dell'Italia Puglia Molise Campania Abruzzo Marche Lazio Umbria Basilicata Toscana Emilia Romagna Calabria

Rimani aggiornato gratuitamente con la nostra newsletter settimanale
Ho letto l'Informativa Privacy