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Il 78% delle imprese considera ancora la privacy come un mero adempimento burocratico. Il caso della multa da mezzo milione di euro alla società di e-commerce che aveva nominato un DPO in conflitto d’interessi. Bernardi: “Con applicazioni fuorvianti del GDPR ci sono imprese di pulizia che sono state nominate responsabili del trattamento solo perché i loro addetti vedono informazioni aziendali quando svuotano i cestini dei rifiuti”. Paola Casaccino: “Spesso le società sanzionate si erano affidate a consulenti che avevano prodotto solo documentazione burocratica senza badare alla sostanza. Necessario passare dalla teoria alla pratica”.

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Una popolazione informata e preoccupata. Questa è la fotografia che emerge sul sentiment degli italiani in materia di privacy e di trattamento dei dati personali e soprattutto sensibili, condivisi negli anni 2020 e 2021, quando a causa dell’emergenza pandemica, c’è stata la grande diffusione dello smart working. A rivelarlo è la ricerca di OpenText, azienda che si occupa di soluzioni e software di enterprise information management, condotta da 3Gem a marzo 2022 su un campione di 27.000 consumatori distribuiti tra Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Spagna, Francia, Australia, Canada, Singapore, India, Brasile e Giappone.

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Da quando il Gdpr ha introdotto la figura del Data Protection Officer, molti professionisti che ricoprono questo ruolo hanno compreso che devono svolgere non solo attività ordinarie, ma può capitare anche di essere coinvolti in casi che presentano delle criticità o vere e proprie emergenze che hanno un impatto sui dati personali, come è accaduto durante la pandemia, oppure come può succedere in caso in cui l’azienda venga colpita da un ransomware o da altri data breach, o altre situazioni emergenziali. Il sondaggio di Federprivacy.

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Secondo uno studio condotto da OpenText per indagare il rapporto degli utenti con le aziende in materia di privacy dei dati, oltre la metà degli italiani (56%) sarebbe disposta a spendere di più pur di affidarsi ad aziende che offrono una maggiore protezione dei dati personali, superando così inglesi (49%), tedeschi (41%), spagnoli (36%) e francesi (17%). La ricerca evidenzia che gli italiani fanno ancora fatica a fidarsi del tutto dei metodi di gestione dei dati personali: più di 1 su 4 (26%) diffida infatti della capacità da parte delle aziende di mantenere le informazioni private e al sicuro, mentre addirittura quasi la metà (48%) ritiene che solo alcune realtà possano essere considerate davvero affidabili.

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Tra le numerose criticità riscontrate negli ambienti di lavoro con l'emergenza sanitaria da Covid-19 ci sono anche quelle riguardanti la tutela della privacy ed il rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali. Uno studio di Federprivacy si pone l'obiettivo di tracciare un quadro sulla protezione dei dati personali nel contesto del Coronavirus. Pubblicato il Report del sondaggio.

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L’art. 38 del GDPR prescrive che il titolare del trattamento deve sostenere il Responsabile della Protezione dei Dati nell’esecuzione dei propri compiti che gli sono attribuiti dall’art. 39 dello stesso Regolamento UE, ma allo stato attuale il 68% dei professionisti che ricoprono il ruolo di Data Protection Officer ritengono che tra i fattori che più li penalizzano nell’assolvimento dei loro compiti vi sia proprio la mancanza di sostegno da parte del management aziendale.

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Imprese italiane sempre più a rischio di cyberattacchi. I reati informatici denunciati dalle aziende sono aumentati del 45,5% tra il 2019 e il 2023, a fronte della crescita del 10% di tutti gli illeciti a danno dell’attività d’impresa. A lanciare l’allarme è Confartigianato che ha rilevato il trend di truffe, frodi e aggressioni on line subite dagli imprenditori.

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Secondo una ricerca condotta da Usercentrics solo un terzo delle aziende italiane (33 %) si dichiarano totalmente certe di rispettare le normative vigenti in materia di protezione dei dati personali.

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Per l’81,9% degli addetti ai lavori, i prossimi componenti del Garante dovrebbero avere sia competenze giuridiche che informatiche, e ritengono meglio affidarne la guida a tecnici esperti della materia (61,3%). Alla luce della bufera scatenata da Report, praticamente nessuno (0,1%) vorrebbe alla privacy un personaggio con background politico, con il 72% degli addetti ai lavori che è addirittura contrario a ex parlamentari e militanti di partiti politici nel Collegio dell’Authority. Il rapporto dell’indagine condotta da Federprivacy inviato alle istituzioni.

Nella società digitale in cui viviamo gli attacchi hacker sono ormai all’ordine del giorno, eppure le imprese che ne sono colpite non corrono ai ripari per mettere in sicurezza i dati come ci si aspetterebbe, e le ultime statistiche sembrano evidenziare pure un calo di sensibilità verso i rischi cibernetici.

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Siamo tutti spiati? il presidente di Federprivacy a Cremona 1 Tv

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