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Videosorveglianza illegittima, per il risarcimento del danno occorre dimostrare un pregiudizio effettivo

Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale per violazione del diritto alla riservatezza, è necessario che l'offesa sia grave, ossia che il diritto sia inciso oltre una soglia minima, cagionando un pregiudizio effettivo. Occorre cioè una certa soglia di offensività, che renda il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela. Per valutare il livello della gravità della lesione e della serietà del danno deve procedersi ad un giudizio di bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima e quello della tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo laddove sia superato il pregiudizio di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile. A ribadire queste regole è il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 912/2021.

Videosorveglianza, il danno deve essere serio e dimostrato. Lo ribadisce il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 912/2021


Al centro della decisione c'è la pretesa violazione della privacy di due sorelle, proprietarie di un immobile ove vivevano, a 400 metri dal quale una associazione, costituita tra i proprietari delle abitazioni presenti nel complesso residenziale adiacente, aveva installato 3 videocamere con l'obiettivo di tutelarsi dai ricorrenti furti della zona. Le due sorelle lamentavano una situazione lesiva della riservatezza e della loro vita privata tale da provocare in loro un costante stato di stress e ansia, non essendo a conoscenza delle finalità del trattamento e dell'utilizzo dei dati acquisiti. Esse, pertanto, chiedevano l'immediata rimozione delle videocamere e un risarcimento di 20 mila euro per i danni patiti.
Il Tribunale ritiene in effetti non legittima l'acquisizione delle immagini effettuata dall'associazione, in quanto non effettuata per fini esclusivamente personali e senza il previo consenso anche delle due sorelle. L'installazione delle videocamere da parte dell'associazione ha configurato, pertanto, una lesione del diritto alla riservatezza delle ricorrenti.
Tuttavia, afferma il giudice, non vi è alcuna prova che le videoriprese abbiano provocato nelle due donne quel lamentato «continuo stato di ansia e stress», essendo il raggio di ripresa delle videocamere «piuttosto limitato, non intercettando alcun punto di ingresso di private abitazioni». Di conseguenza, chiosa il Tribunale, il danno patito dalle due sorelle non può dirsi "serio", e dunque meritevole di tutela risarcitoria, non essendo nella fattispecie «superato quel livello di tollerabilità che è imposto dal vivere sociale».

Fonte: Il Sole 24 Ore del 25 giugno 2021

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