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Tribunale di Torino: il falso profilo Facebook "aggrava" lo stalking

Scatta l'accusa di stalking aggravato per chi, presa “di mira” una donna, crei un falso profilo facebook a suo nome, finga di esserle legato e la inondi di messaggi indesiderati causandole uno stato di ansia e timore tale da indurla a cambiare abitudini. Del resto, quando si molesta qualcuno usando i social, il danno alla vittima si amplifica. La stretta sul dilagante fenomeno dello stalking via web arriva, questa volta, dal Gip del Tribunale di Torino che, con sentenza 878 dello scorso 13 giugno, si assesta su un filone ben consolidato.

Il caso - A finire sotto processo, è un uomo che – ossessionato da una ragazza – inizia a bombandarla di messaggi minacciosi e offensivi alternati ad inaspettate dichiarazioni amorose. Ma lo stalker, per mettersi in contatto con gli amici della malcapitata (e rendere più credibile il suo piano) apre persino un profilo a suo nome, corredandolo della foto di una donna a lei somigliante e usa il falso account per stringere amicizia con i suoi conoscenti. Tutto ciò, nonostante fosse stato già ammonito dal giudice per le molestie commesse contro la poverina.

La condanna - Una persecuzione in piena regola, dunque, che gli viene a costare la condanna alla pena, patteggiata, di quattro mesi di reclusione per stalking aggravato dall'uso di strumenti informatici e telematici. La colpevolezza dell'imputato, d'altronde, era emersa con chiarezza sia dalle risultanze delle attività investigative compiute dalla polizia postale a seguito della denuncia-querela sporta dalla persona offesa che dal testo dei messaggi inviati via mail e mezzo facebook. A qualificare il comportamento criminoso come stalking, sia la reiterazione delle azioni che le conseguenze delle condotte contestate.

I contorni dello stalking - Infatti, per ravvisare lo stalking occorre, innanzitutto, la commissione di più atti molesti o minacciosi: reiterate telefonate (Tribunale di Campobasso 8/2017), massiccio invio di sms (Tribunale di Bari 2800/2017), intimidazioni (Tribunale di Genova 5425/2016) o pedinamenti (Tribunale di Genova 37/2017). Sufficienti, tuttavia, anche due sole azioni (Tribunale di Nocera Inferiore 1941/2016) realizzate nella stessa giornata, purché autonome (Cassazione 38842/2018). Ancora, la condotta dovrà essere tale da procurare alla vittima «un persistente stato di ansia ed agitazione» ed il «timore di subire atti lesivi della sua incolumità personale, con conseguente alterazione delle proprie abitudini di vita» (Tribunale di Genova 37/2017).

Elementi, inclusi gli effetti destabilizzanti della serenità della vittima (Cassazione 49681/2017), tutti sussistenti nella vicenda. Ad aggravare la posizione del reo, poi, l'uso del social e l'aver protratto il “pressing” per un periodo di tempo apprezzabile tanto da incidere sulla vita lavorativa, relazionale e affettiva della donna, costretta a stravolgere le proprie abitudini per fuggire a quel tedioso accanimento. Unica attenuante per lo stalker, aver risarcito la vittima con una somma di denaro che la stessa – firmando una scrittura privata di rinuncia a costituirsi parte civile – aveva ritenuto «congrua e satisfattiva delle sue pretese risarcitorie». Condanna ben ferma, quindi, ma parzialmente riparata dall'indennizzo dei danni.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 1° ottobre 2018

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