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È reato inviare una e-mail contente copia di una sentenza inesistente

La sentenza è per sua natura atto che può circolare solo in copia, restando l'originale allegato a raccolta. Ne discende che la trasmissione della stessa, accompagnata dalla prospettazione di conformità all'originale in conseguenza della simulata celebrazione del giudizio, si manifesta idonea a ledere il pubblico affidamento. È irrilevante la circostanza di fatto legata alla materiale esistenza o meno dell'atto "originale" rispetto al quale dovrebbe operarsi il raffronto comparativo con la copia, perché l'attività falsificatoria effettuata con la modalità della contraffazione assume come riferimento non tanto la copia in sé, quanto il falso contenuto dichiarativo o di attestazione, apparentemente mostrato dalla copia formata ed esibita.

Con la recente sentenza n°45369/2019 la Corte di Cassazione affronta la questione concentrando il fuoco di lettura sugli elementi concreti della condotta di chi fabbrica, poi trasmette, un provvedimento fittizio.

La vicenda processuale - La Corte di Appello in parziale riforma della decisione del Tribunale di primo grado che aveva affermato la responsabilità penale di un avvocato per il delitto di falso materiale in atto pubblico e falso ideologico commesso dal privato in riferimento alla formazione di una falsa sentenza, riqualificava il fatto come falso materiale commesso da pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici. Dal che l'imputato formulava ricorso per Cassazione deducendo erronea applicazione della legge penale e della legge processuale in riferimento all'inesistenza dell'atto che si assumeva falso, consistente nella mera creazione di una sentenza civile relativa ad una causa mai instaurata, trasmessa alla parte e priva di attestazione di conformità, con conseguente esclusione dell'ipotesi di reato. Inoltre a suo dire la sentenza era viziata in motivazione in considerazione dei rapporti correnti tra lui e la persona offesa, nipote della sua compagna, che escludevano la finalizzazione del falso all'inganno a terzi, riconducendone la causale a mere ragioni di opportunità familiare con conseguente eccessiva determinazione della provvisionale in favore della parte civile.

La decisione e il principio di diritto - Secondo la Cassazione è erronea la qualificazione giuridica attribuita dalla Corte territoriale alla fattispecie in disamina, in cui è stata trasmessa a mezzo posta elettronica, una mera copia di sentenza, non corredata da attestazioni di conformità. Trattasi dunque del falso dell'atto trasmesso e non già di una inesistente dichiarazione di conformità della sentenza all'originale. In altre parole, secondo la Cassazione, la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l'apparenza di un atto originale.

A ben vedere lo stesso soggetto che produce la copia deve compiere anche un'attività di contraffazione che vada a incidere materialmente sui tratti caratterizzanti il documento in tal modo prodotto, attribuendogli una parvenza di originalità, così da farlo sembrare, per la presenza di determinati requisiti formali e sostanziali, un provvedimento originale o la copia conforme, originale, di un tale atto, ovvero una copia comunque documentativa dell'esistenza di un atto corrispondente. La volontà di ingannare la fede pubblica, in tal modo, si realizza attraverso un comportamento inquadrabile nell'ipotesi di falso per contraffazione poiché almeno apparentemente creativo di un atto originale in realtà inesistente, sì da determinarne oggettivamente, nelle intenzioni dell'agente, un'apparenza esterna d'originalità. Deve pertanto affermarsi che ai fini della rilevanza penale del falso in fotocopia di un atto, non importa se esistente o meno, rilevi oltre all'idoneità del documento di accreditarsi come corrispondente a un originale, l'intenzione dell'agente che quell'atto utilizzi per ingannare la fede pubblica, proponendolo come originale e conforme all'autentico secondo le circostanze del contesto concreto.

Secondo la Cassazione nel caso in esame, non vi è dubbio che la falsa sentenza, trasmessa via mail alla persona offesa, sia stata accreditata come corrispondente all'inesistente originale, tanto in riferimento alla qualità di avvocato del mittente, che alle ulteriori circostanze rappresentate alla persona offesa in merito all'iscrizione della causa, al suo andamento ed all'assicurazione del suo esito, che la copia intendeva asseverare. Segnatamente, anche l'assenza di un fine di arricchimento lascia del tutto impregiudicata la modalità ingannatoria che la trasmissione dell'atto falso intende accreditare, qualora il contesto è caratterizzato da menzogna. Di talchè costituisce falso punibile, in riferimento alle circostanze di fatto, la formazione della copia di una sentenza inesistente, quando la stessa assuma l'apparenza di una riproduzione di atto originale per sua natura non soggetto a circolazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 28 novembre 2019

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