Così i vostri spostamenti sono spiati e venduti dai data broker. I consigli per proteggere la privacy
Ogni spostamento registrato dal nostro smartphone diventa un frammento di un enorme mercato di dati personali che riguarda quotidianamente milioni di persone, dove la privacy si trasforma di fatto in una merce di scambio. A dimostrare come ciò avviene con il trattamento dei dati sulla geolocalizzazione acquisiti dai nostri cellulari è Milena Gabanelli in una sua dettagliata inchiesta pubblicata in Dataroom sul Corriere della Sera.
Dietro questo meccanismo operano i cosiddetti data broker, società specializzate nella raccolta e rivendita di informazioni degli utenti che ricevono i dati tramite gli SDK (Software Development Kit), ovvero quegli insieme di strumenti, librerie, documentazioni e codici che i programmatori utilizzano per creare e far funzionare le app nei nostri dispostivi elettronici.
I dataset che ne derivano possono infatti contenere milioni di stringhe di codici identificativi, coordinate, orari e indirizzi IP, e coloro che acquistano le banche dati possono essere agenzie pubblicitarie ma anche investigatori private o aziende di assicurazioni che possono ricostruire con precisione spostamenti, abitudini e relazioni personali.
Già da molti anni Federprivacy mette in guardia dai rischi della geolocalizzazione, e anche di recente un’inchiesta ha mostrato file che tracciano oltre due milioni di persone in Italia in sole due settimane nel giugno 2025. Per cifre comprese tra 3mila e 5mila dollari al mese tali dati erano accessibili da chiunque, e aggiungendo pochi centesimi per ciascun contatto alcuni broker offrivano anche il collegamento tra codice identificativo, nome, cognome ed email: in questo modo è così possibile associare la posizione geografica all’identità reale.

Ovviamente le implicazioni e rischi per gli utenti sono enormi: si va dal ricatto personale allo spionaggio industriale. In Italia e nei Paesi dell’UE, la normativa sui dati personali offre una certa tutela, ma gli escamotage utilizzati dalle piattaforme per carpire consensi inconsapevoli dagli utenti e la collocazione all’estero di molti broker rendono i controlli inefficaci, e complesso diventa anche far valere i diritti previsti dal GDPR.
Come spiega Marco Fossi nel libro “Smetti di farti spiare, difendi la tua privacy” edito da Mondadori Università, l’uso del GPS sui propri dispositivi informatici e/o dei tag di geolocalizzazione su immagini e video postati sui social possono fornire dati importanti a soggetti malintenzionati che intendono fare azioni delittuose nei nostri confronti (furti, rapine e più in generale delitti contro il patrimonio, esfiltrando per esempio i dati del conto corrente, del vostro SPID, della carta di credito), ovvero spiare i nostri comportamenti per ricattarci o comunque condizionare la nostra vita. Perciò è essenziale verificare chi raccoglie i dati sulla nostra posizione, per quali finalità li utilizza e quali rischi si corrono se questi dati vengono condivisi in modo volontario o accidentale o rubati da terzi, “disattivando l’impostazione di localizzazione dei vostri dispositivi quando non si vuole essere geolocalizzati, e più in generale è meglio utilizzare questa impostazione solo se strettamente necessario a ciò che si sta facendo”, consiglia l’esperto per proteggere la propria privacy.






