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L'app per videochat Zoom condivide i dati con Facebook anche se non abbiamo un profilo. L'accusa arriva dal magazine Motherboard che ha analizzato il comportamento dell'applicazione. Sconosciuta ai più fino a qualche tempo fa, Zoom ha visto crescere la propria popolarità in corrispondenza con lo scoppio del Coronavirus. La spasmodica ricerca di mezzi per comunicare con i colleghi o con i propri cari l'ha fatta emergere tra le migliori videochat disponibili, più veloce, affidabile e facile da usare di tante concorrenti. Adesso però ecco la stangata.

Il fatto che Google abbia apparentemente rinunciato alla promessa di eliminare del tutto gli identificatori di terze parti è stato un colpo di scena per tutta l’industria pubblicitaria. Un colpo di scena che, pur essendo giunto in modo improvviso, non era inaspettato per chi opera nel settore del digital advertising.

L’evoluzione tecnologica in generale e la crescita della intelligenza artificiale negli ultimi anni hanno reso più facile la creazione di profili e l’adozione di decisioni automatizzate, con potenziali ripercussioni significative sui diritti e sulle libertà delle persone fisiche. L‘ampia diffusione dei social network e degli e-commerce, consultabili in ogni momento attraverso device, sempre più performanti hanno trasformato internet in un bacino di informazioni e di dati personali, dal quale è possibile la determinazione, l’analisi e la previsione di aspetti della personalità, del comportamento, degli interessi e delle abitudini di una persona.

Giovedì, 06 Dicembre 2018 10:11

La profilazione richiede tutele rafforzate

A poco più di due mesi dall’entrata in vigore del Dlgs 101/2018, che disciplina l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento Ue 2016/679, il cosiddetto Gdpr (General data protection regulation), si è svolto a Milano il convegno sul «Cliente e l’impresa digitale: rischi e opportunità del trattamento dei dati personali», il primo di un ciclo di incontri dedicati alla business community. Nel corso dell’evevento è stato anche presnetato un decalogo sulla privacy.

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Intelligenza Artificiale, profilazione dei dipendenti, decisioni automatizzate effettuate tramite algoritmi, ed altre nuove tecnologie stanno progressivamente penetrando negli ambiti lavorativi creando insidie per la tutela della privacy dei lavoratori che fino a qualche anno fa potevano sembrare inimmaginabili. Di queste tematiche parleranno gli esperti di protezione dei dati personali ad un seminario in programma il prossimo 24 giugno, a cui interverrà anche la Vice Presidente dell’Autorità Garante, Ginevra Cerrina Feroni.

Quando aggiorniamo il nostro stato su WhatsApp o mettiamo un “like” su Facebook raccontiamo al web qual è il nostro stato d’animo e quali sono le nostre preferenze, fornendo informazioni personali che potranno essere analizzate da sofisticati algoritmi ed utilizzate per proporci pubblicità mirata sulla base dei nostri comportamenti online. Ma una recente ricerca si spinge molto più avanti, dimostrando che dalle abitudini di spesa dell'utente è possibile individuare tratti psicologici della sua personalità.

Se usiamo piattaforme come Google Hongouts o Zoom per le videoconferenze o per le lezioni con gli studenti, quali dati personali vengono effettivamente registrati? Come spiega Il Sole 24 Ore, questi servizi possono utilizzare per attività di profilazione anche i dati audio e video degli utenti, oltre ai file condivisi dagli utenti. A specificarlo sono le stesse informative privacy, dove si precisa che potranno essere utilizzate tutte le informazioni che l’utente fornisce o crea durante l’utilizzo del servizio. 

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La Datatilsynet, l’autorità norvegese per la protezione dei dati che ha recentemente multato Meta per 7 milioni di dollari sta ora indagando sul nuovo modello di abbonamento senza pubblicità dell’azienda, e intensifica la sua battaglia legale contro la società madre di Facebook e Instagram.

La piattaforma di Zuckerberg non ha previsto l’opzione “non ti faccio pagare nulla e non ti profilo”. Spalacando dubbi di carattere giuridico. Il quadro giuridico europeo dovrà rispondere in fretta a queste domande, anche perché cosa è conforme alla legge non può deciderlo una piattaforma privata.

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La profilazione può portare a una personalizzazione estrema delle notizie, dove l'utente viene esposto principalmente a punti di vista che rafforzano le proprie convinzioni preesistenti. Questo fenomeno, come un "effetto bolla" può avere ripercussioni sul dibattito pubblico e sulla coesione sociale, limitando la capacità degli individui di comprendere prospettive diverse dalle proprie.

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