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Verità presunta o fake news? Conta la verifica delle fonti

Le fake news entrano per la prima volta nelle sentenze, che sdoganano ufficialmente il termine. A fare da apripista il tribunale di Torino e di Catania in due cause civili per diffamazione. Al centro le varie sfumature della verità che incidono sull’esito dei processi e sulla vita delle parti coinvolte. Se sono tollerati errori marginali, non possono essere accettate inesattezze determinanti sulla realtà fattuale, in grado di ledere la reputazione dei soggetti interessati. Via libera allora alla verità putativa, se il giornalista ha fatto tutto il possibile per verificare le fonti e ciononostante sia caduto in errore, mentre viene punita la verità soggettiva, dietro la quale si cela sempre l’insidia delle fake news ovvero quelle «notizie false, altrimenti dette bufale».

Bilanciamento di diritti - Così ha stabilito il tribunale di Torino con la sentenza n. 2861 dello scorso 9 giugno. Il fatto prende le mosse da un articolo in cui il giornalista aveva definito un «gigantesco malinteso» e poi un «errore giudiziario» il sequestro disposto da un magistrato sull’abitazione di due neo sposi. Il giudice cita in giudizio per diffamazione il giornale, colpevole di «inaudita superficialità e negligenza». All’esito del giudizio emerge che se di clamoroso errore doveva parlarsi, questo era da ricercare nelle modalità con cui venne data la notizia, «frutto quantomeno di superficialità». La sentenza dà modo al giudice di affrontare il tema delle fake news e del vaglio sulla verità delle fonti ritenuto esigibile quando si diffonde una notizia su qualsiasi mezzo, anche nel web. Si tratta di un giudizio di bilanciamento tra diritto di cronaca e quello alla reputazione dei soggetti coinvolti, che passa attraverso la misura della verità che il lettore deve pretendere da chi divulga i fatti.

Lo aveva già precisato il tribunale di Catania nella sentenza n. 3475 del 19 luglio 2017, in cui un marito aveva chiesto ad una emittente televisiva il risarcimento dei danni subiti a causa delle offese diffuse dalla sua ex moglie. Per il giudice non ci sono dubbi, «le fake news possono rendere irrespirabile l’aria di una comunità di poche migliaia di anime» in cui le notizie che «attribuiscono la patente di orco al danneggiato corrono di bocca in bocca a soddisfare l’insana sete di quanti si beano a vedere il mostro di turno sbattuto in prima pagina». La sentenza non fa sconti e condanna l’emittente a risarcire il danno da diffamazione, quantificato in 40mila euro. Anche in questo caso il tribunale punisce la mancata verifica delle fonti, che fa di una notizia non accuratamente vagliata una vera e propria fake news.

La verità putativa - Le varie forme della verità sono state spesso al centro della giurisprudenza degli ultimi anni, dando luogo a una vera e propria classificazione delle falsità tollerabili. Il giornalismo non ammette mezze verità, eppure delle sue sfumature sono pieni i tribunali. Se la verità oggettiva è quella alla quale ogni giornalista dovrebbe tendere, esiste poi la verità putativa che scrimina solo se frutto di un attento lavoro di verifica delle fonti che però non sono tutte uguali. Affidabili quelle ufficiali, come i ministeri, da verificare le interviste o gli esposti anonimi. Non basta poi che una notizia circoli nel web e che non sia mai stata smentita per abbassare la soglia di guardia.

Debole anche la verità soggettiva che si nutre delle convinzioni personali del giornalista, così come non salva la verità dubitativa, fatta di allusioni e omesse narrazione di parte dei fatti in realtà conosciuti. Ma se è semplice applicare il criterio minimo della verità putativa ai giornalisti, lo stesso non vale quando le false notizie vengono diffuse da privati e soprattutto da soggetti non identificabili. In assenza di una legge che responsabilizzi direttamente le piattaforme, Facebook e Google tra tutti, le vittime hanno pochi strumenti per bloccare la viralità di una fake news che, oltre ad essere diffamatoria può turbare l’ordine pubblico.

In entrambi i casi si tratta di reati, ma procedere al sequestro preventivo dei contenuti può non essere così semplice se non c’è la collaborazione internazionale del provider. In attesa di un’assunzione di responsabilità sulla quale i più noti player fanno muro, il risultato è che le fake news fanno giurisprudenza soltanto per pochi.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 27 agosto 2018 - Articolo di Marisa Marraffino

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