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Tar Lazio: se scaricare una app costituisce un contratto il consenso dei minori non vale

Se scambiare dati per scaricare una app è un contratto, allora i minori non possono dare il consenso a trattare i propri dati ai social network e ai gestori di servizi della società dell'informazione. È questo uno degli effetti dell'applicazione del principio enunciato dalla sentenza del Tar Lazio n. 261/2020. Così ci vorrebbe il consenso dei genitori se un minorenne vuole scaricare una app dando in cambio i dati.

La conseguenza a cascata dalla pronuncia del giudice amministrativo incide sull'articolo 8 del regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679 (Gdpr), che, per il caso di offerta diretta di servizi della società dell'informazione ai minori, pretende il minimo di 16 anni per poter esprimere il consenso. Sotto i 16 anni ci vuole il consenso del genitore. Gli stati europei possono stabilire per legge un'età inferiore (ma non sotto i 13 anni). In Italia l'articolo 2-quinquies del Codice della privacy, modificato dal decreto legislativo 101/2018, ha previsto che il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione.

Però l'articolo 8 del Gdpr aggiunge che rimangono valide le disposizioni generali del diritto dei contratti dei singoli stati, quali le norme sulla validità, la formazione o l'efficacia di un contratto rispetto a un minore. A questo punto ci si deve chiedere se scambiare dati personali con una app sia già un contratto oppure no. Nel caso si ritenga di sì, ci vuole il consenso dei genitori perché il minorenne non è capace, per il codice civile, ai fini contrattuali. Nel caso in cui, invece, dare il consenso a trattare i dati personali sia cosa diversa dal concludere un contratto, allora si deve riconoscere al minorenne la capacità di autodeterminarsi.

La sentenza del Tar del Lazio spinge a considerare che lo scambio dati contro servizi internet sia un contratto. Anche su questo aspetto né il legislatore europeo né quello italiano hanno dato regole chiare, con il risultato che il quesito sarà molto probabilmente sciolto da pronunce della magistratura, chiamata su un caso concreto.

Fonte: Italia Oggi del 20 gennaio 2020

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