Senza strategia organizzativa le polizie locali possono finire fuori strada con la privacy
In assenza di una governance centrale chiara, la strategia più saggia per i Comuni che usano telecamere di lettura targhe, bodycam o sistemi urbani di videosorveglianza resta una sola. Fare un passo indietro, ridurre le finalità dichiarate al minimo e smettere di rincorrere interpretazioni creative del GDPR.

Un recente intervento del Garante Privacy datato 18 luglio 2025 sul sistema di videosorveglianza del Nuovo Circondario Imolese è emblematico.
Niente sanzione, ma un avviso formale che suona come un cartellino giallo. L’Ente, già colpito da un precedente provvedimento sanzionatorio, è dovuto correre ai ripari. Adeguando regolamenti, informative e valutazioni d’impatto (DPIA) dopo una richiesta di esercizio diritti rimasta senza risposta. Un classico.
Il punto però non è (solo) documentare bene. È evitare di costruire castelli giuridici su sabbie mobili. La normativa di settore non è cambiata dal 2018, e il Garante lo ripete. Le finalità ammesse per le telecamere stradali pubbliche sono poche, chiare e tassative. Sicurezza urbana integrata – se c’è un Patto con la Prefettura. Sicurezza stradale – se si rispettano le condizioni del Codice della Strada. Tutela ambientale – solo con fototrappole, in aree mirate e ben giustificate. Il resto è residuale come la tutela del patrimonio e dei lavoratori.
E invece i Comuni continuano ad affastellare finalità eterogenee. Un minestrone normativo che nessuna informativa di secondo livello riuscirà mai a rendere trasparente. E il Garante lo dice chiaramente: senza un'adeguata base giuridica per ciascuna finalità, il trattamento rischia di essere illecito anche se ben documentato.
Particolarmente delicato il caso dei varchi di lettura targhe. Se non sono previsti nel Patto per la Sicurezza Urbana, a parere dell’Autorità, non possono essere usati per finalità di prevenzione della criminalità diffusa. In assenza di omologazione e finalizzazione chiara, l’unico appiglio operativo è il supporto alla contestazione immediata per violazioni al Codice della Strada. Qualsiasi estensione d’uso può diventare un boomerang in sede ispettiva. In pratica anche se il dettato normativo sulla complessa questione non è molto chiaro meglio seguire le prudenti indicazioni del Garante.
(Nella foto: Stefano Manzelli)
Nell’attuale complessità normativa, in attesa di indicazioni centrali, la compliance si ottiene per sottrazione, non per aggiunta. Meno finalità, meno variabili, meno dispositivi ambigui. Il principio di accountability non si rispetta con documenti chilometrici, ma con un modello organizzativo asciutto, coerente, misurabile. Meglio dichiarare poco e usare bene, che inseguire la chimera della videosorveglianza onnisciente.
E se la videocamera coglie un reato? Nessun problema. Il dato, se raccolto lecitamente, è comunque utilizzabile in sede penale. L’efficacia investigativa non si annulla dichiarando meno finalità nei cartelli. Si chiama rispetto del perimetro normativo. Ed è esattamente ciò che manca, oggi, nella governance nazionale dei sistemi di videosorveglianza pubblici.
Fino a quando non arriveranno regole chiare, ogni Comune farà bene a usare la regola d’oro del minimalismo regolatorio: poche finalità, ben documentate. E per il resto? Ci penserà il giudice.







