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Quando la rincorsa allo scoop del giornalista mette all’angolo la privacy e stropiccia il diritto di cronaca

La rincorsa allo scoop mette all’angolo la privacy e stropiccia il diritto di cronaca. La storia, di cui vogliamo trattare, comincia con una iniziale notizia di un esito positivo di un tampone Covid di una ministra, da considerarsi contagiata, notizia diffusa addirittura prima che l’interessata lo sapesse, seguita dalla notizia che si trattava di un falso positivo, con la conseguenza che non c’è nessuna ministra contagiata.

Spesso la ricerca dello scoop è la causa delle violazioni privacy dei giornalisti

In sostanza la notizia iniziale è azzerata, ma, come vedrà chi ha la pazienza di arrivare in fondo a questo articolo, c’è una vera notizia non messa in sufficiente evidenza. Peraltro, il succo della vicenda consente di studiare la legislazione della privacy applicata al giornalismo e la deontologia del giornalista.

Ma prima di tutto, consente alcune riflessioni sul fattore “tempo”.

La definizione del tempo la lasciamo ai filosofi, ma la prassi dell’esistenza propone due alternative: il tempo è una unità di misura oppure è un valore.

Misura lo scorrere della vita (unità di misura), ma è un valore (è elemento costitutivo della identità individuale: pensate a quando ci si descrive come persona di x anni). Qualcuno dice che il tempo è l’unico vero valore che gli esseri umani scambiano per unità di misura.

Proprio su una applicazione estrema di quest’ultima concezione si basa lo scoop: io sono un bravo giornalista se prima degli altri, più in fretta degli altri, diffondo una notizia.

Il fattore tempo determina un giudizio di valore sull’identità del giornalista. Nel caso specifico il giornalista è stato così veloce da dare una notizia alla generalità dei lettori, ancora prima che l’interessato lo sapesse. Non è la prima volta. In altre vicende si è trattato di notizie su avvisi di reato conosciuti da notizie di stampa prima che l’interessato ricevesse l’atto dalla magistratura indagante.

Anche in quella occasione ci si è interrogati su privacy, etica e professionalità.

Su questi temi si potrebbe prendere la scorciatoia della dichiarazione della complessità del problema e del rinvio al solito inconsistente criterio del “caso per caso”. Forse è proprio così, ma questo atteggiamento non ci fa fare nemmeno un passettino di un millimetro in avanti.

Bisogna assumersi il rischio di dire qualche cosa di più.

Ora mettiamo in fila alcune considerazioni.

La condizione di salute di un ministro è certamente una notizia che riguarda la generalità dei cittadini, poiché mette in evidenza che la compagine ministeriale potrebbe non lavorare come prima, che forse bisogna sostituire un ministro e magari è a rischio la continuità di indirizzo politico.

La notizia, però, deve non solo essere socialmente rilevante, ma anche vera o verosimile previa attenta e scrupolosa verifica delle fonti.

La notizia deve essere, infine, espressa con forme contenute. Il contenimento delle forme è, appunto, un requisito di espressione, del modo di scrivere, delle parole e della punteggiatura. Il contenimento, però, implica anche un autocontrollo sostanziale, rispetto alla funzione del giornalismo.

Antonio Ciccia Messina

(Nella foto: Antonio Ciccia Messina, avvocato esperto di protezione dati e presidente di Persone & Privacy)

Il giornalismo è uno strumento per la emancipazione del singolo ed è, quindi, uno strumento per il consolidamento della libertà individuale.

Il giornalismo è controllo del potere, argine contro il dispotismo, barricata contro le autocrazie e le dittature.

Un autocontrollo sostanziale porta, tuttavia, a una pausa di riflessione e ad un rallentamento del flusso fulmineo dello scoop, che non te ne accorgi ed è già passato. Eppure si può fare.

Si può realizzare un autocontrollo sostanziale, ad esempio, preannunciando all’interessato la diffusione della notizia.

Questo non significa censura, ma significa arricchimento della notizia, con altri particolari.

Si può realizzare un autocontrollo sostanziale, accompagnando la notizia con un attento esame delle conseguenze, degli antecedenti e dei conseguenti, degli effetti e dei presupposti.

Spiattellare un fatto senza le concatenazioni significa anche agevolare la possibilità che il fatto assuma connotati diversi dalla completa ricostruzione dei fatti.

Ed una incompleta ricostruzione dei fatti può portare a sentimenti diversi in capo a chi la apprende, e i sentimenti fanno assumere scelte, che possono essere inadeguate perché basate su frettolosi racconti di uno spicchio di realtà. A quel punto poco importa della realtà vera e bisogna rassegnarsi al fatto che la vita cambia anche sulla base di notizie incomplete e parziali.

Ma questo non toglie nemmanco un grammo al peso delle riflessioni che stiamo facendo sulla deontologia dello scoop.

Tra l’altro il quadro di riferimento è cambiato e il giornalista sa di avere molti più concorrenti di un tempo. Se una volta c’era il giornalista in eterna competizione con altri giornalisti, ma tutti si attorcigliavano attorno agli stessi dubbi di correttezza, ed erano sulla stessa linea di partenza, ora non è più così’.

Il giornalista ha il mondo contro, deve lottare contro tutti coloro che hanno un dispositivo che consente di caricare sulla rete Internet parole e immagini e che lo fanno senza avere quel peso dei dilemmi deontologici. Così a volte anche il giornalista si mette a rincorrere la velocità di chi usa la rete come un deposito di cose, senza ordine, senza scopo e senza un verso né una direzione.

L’apparente facilità di emergere là in alto sulla cresta dell’onda della rete virtuale stuzzica tutti e tutti possono pensare di essere protagonisti facendo i giornalisti, senza i giornali.

La tecnologia, usata male, sta dando l’illusione che tutti possono fare tutto senza avere nessuna competenza e professionalità, nessuna responsabilità e nessuna regola.

Seguendo questo andazzo ci può dimenticare dei profili sopra succintamente richiamati, in base ai quali non è detto che sia un vero scoop raccontare prima di tutti quello che si scoprirà essere un falso positivo.

Le regole generali ci sono (vedi le Regole Deontologiche del Garante privacy, e per approfondimenti anche la Circolare 6-2020 di Federprivacy), ma non bastano. Ci vuole tensione morale, etica fatta abitudine, dispensatori di consigli che razzolano bene, e coraggio di scegliere la correttezza e di rallentare l’ansia da tastiera. Non tutti gli scoop sono come lo scandalo Watergate.

D’altra parte, cosa resterà di uno scoop di un falso positivo al Covid di una ministra? Magari solo il rischio di velare la vera notizia: i test del Covid possono dare un risultato sbagliato, anche positivo.

Note Autore

Antonio Ciccia Messina Antonio Ciccia Messina

Professore a contratto di "Tutela della privacy e trattamento dei dati Digitali” presso l'Università della Valle d’Aosta. Avvocato, autore di Italia Oggi e collaboratore giornali e riviste giuridiche e appassionato di calcio e della bellezza delle parole.

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