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Guido Scorza

Componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. Twitter: @guidoscorza

“Il tuo account Facebook è stato disabilitato perché non rispetta i nostri Standard della community. Questa decisione non può essere rivista.” Il primo aprile, un numero ancora imprecisato di utenti Facebook in giro per il mondo, svegliandosi ha trovato questo messaggio sullo schermo del proprio smartphone, tablet o PC. E messaggio a parte si è ritrovato fuori da Facebook. Era il primo aprile il che ha fatto pensare a qualcuno a un pesce d’aprile ma sembrerebbe, invece, essersi trattato di un problema tecnico ora risolto da Facebook.

Timeo Danaos et dona ferentes, sono le parole che Virgilio fa pronunciare a Laocoonte, per dissuadere, senza successo, i Troiani dall’accogliere nella città il cavallo di legno lasciato dai Greci. Sono parole che, egualmente senza successo, qualcuno magari avrà pronunciato – o avrebbe dovuto pronunciare – al Governo ucraino quando ClearviewAI, la società di riconoscimento facciale che batte bandiera americana, gli ha offerto gratuitamente i propri servizi per – stando a quanto ha riferito tra le prime la Reuters – “scoprire assassini russi, combattere la disinformazione e identificare i morti”.

"La privacy è stata costruita come un dispositivo escludente, come uno strumento per allontanare lo sguardo indesiderato, per sottrarsi all’occhio del pubblico. Ma l’analisi delle sue definizioni mostra anche le sue progressive trasformazioni che hanno fatto emergere un diritto sempre più finalizzato a rendere possibile la libera costruzione della personalità, l’autonomo strutturarsi dell’identità, la proiezione nella sfera privata dei principi fondamentali della democrazia”.

La notizia è, ormai, drammaticamente nota: online si trovano migliaia di green pass autentici o, almeno, apparentemente autentici in vendita o gratuitamente disponibile per chi, magari non essendo vaccinato e non intendendo vaccinarsi né farsi periodicamente un tampone non voglia, comunque, rinunciare alla maggior libertà offerta dal possesso dell’ormai celeberrima certificazione verde.

Lo scorso 4 ottobre Facebook, Instagram e Whatsapp sono rimasti inutilizzabili per sei ore in tutto il mondo. La misura del disastro digitale la offre, forse meglio di migliaia di parole, il video diffuso via Twitter dal portavoce del governo della Tanzania che invita i cittadini a restare calmi, rassicurandoli sulla rapida riattivazione dei servizi. Parole analoghe a quelle che, probabilmente, sarebbero state utilizzate se una catastrofe naturale avesse reso inutilizzabili la rete viaria, quella elettrica, quella idrica o quella telefonica o tutte queste reti messe insieme.

I risultati del trimestre che si è chiuso il 30 giugno di Alphabet (Google), Apple, Facebook e Microsoft sono da record e superano le previsioni degli analisti. La tragedia che ha messo in ginocchio il mondo ha rafforzato gli oligopolisti delle tecnologie e, probabilmente, ora, la ripartenza sta facendo altrettanto spingendo nella Rete - con la maiuscola e la minuscola - dei signori della pubblicità online l'industry globale che ha bisogno più che mai di promuovere i propri prodotti e servizi dopo mesi di inattività o scarsa attività e che, per farlo, non ha alternative reali.

Quando si chiede a una persona il consenso a trattare i suoi dati personali perché siano dati in pasto a un algoritmo chiamato ad assumere una qualche decisione il consenso non è valido se la persona non è adeguatamente informata delle logiche alla base dell’algoritmo. È la sintesi di una bella Sentenza depositata nei giorni scorsi dai Giudici della Corte di Cassazione.

“Meno privacy ma più libertà” è la sintesi giornalistica del dibattito di questi giorni attorno al tema delle certificazioni verdi, la ricetta del governo italiano – nel solco, peraltro, di quella già annunciata dalle Istituzioni europee – per consentire la progressiva riapertura del Paese. Una sintesi autorevolmente, fatta sua anche dal presidente della Corte Costituzionale Giancarlo Coraggio e una sintesi che sostanzialmente suggerisce ai cittadini che si tratti di scegliere se rinunciare a un po’ della propria privacy per riconquistare – o almeno riconquistare prima – un po’ della propria libertà di movimento specie in vista dell’arrivo dell’estate e delle vacanze.

Mercoledì, 28 Aprile 2021 06:42

Ora le spie corrono su Linkedin

Bye bye Mata Hari, affascinante e inarrestabile 007 d’altri tempi. Oggi segreti e informazioni confidenziali degli altri si cercano su Linkedin. O, almeno, questo è l’allarme lanciato dal MI5, il servizio segreto britannico. La notizia rimbalza dalla BBC che riferisce di un rapporto dei servizi segreti di Sua Maestà, appunto, secondo i quali, negli ultimi cinque anni almeno dieci mila cittadini inglesi sarebbero stati bersaglio di operazioni di intelligence promosse da Governi stranieri nel tentativo di accaparrarsi segreti di Stato e informazioni confidenziali. E, tutto, sarebbe avvenuto online.

Ieri il podcast di Governare il Futuro non è uscito perché l’altro ieri sono diventato papà. Mentirei se dicessi che nelle ultime ore non sono stato tentato di condividere via social la prima foto di mia figlia, il suo primo bagnetto, la sua prima poppata, la sua prima vera dormita tra le braccia della mamma. Ho scattato decine di foto, naturalmente, e decine di volte sono stato a un tap di distanza dal condividerla via social. A tentarmi, ogni volta, la felicità, l’entusiasmo, l’orgoglio di papà e soprattutto il fatto che quella social è, ormai – giusto o sbagliato, bello o brutto che sia – la dimensione naturale della nostra vita, specie in tempo di pandemia. Ma, almeno sin qui, ho sempre scelto di non pubblicare quelle foto e di limitarmi a inviarle a amici e parenti che il Covid tiene lontano dall’ospedale.

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