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Testamento digitale: brevi ed iniziali spunti dal punto di vista dei familiari del 'de cuius'

Il Tribunale di Milano con ordinanza del 10 febbraio 2021 ha riconosciuto ai genitori del figlio defunto il diritto di accedere ai contenuti del suo smartphone archiviati sul cloud. Il Giudice ha motivato la propria decisione sul presupposto che mancava la prova in giudizio (Apple era, peraltro, rimasta contumace) di un espresso divieto scritto del de cuius circa la destinazione dei diritti relativi ai suoi dati personali; mancava, in sostanza, il testamento digitale disciplinato dall’art. 2 terdecies del D.Lgs. 196/2003 (c.d. Codice Privacy).

Il Tribunale di Milano ordina ad Apple di dare ai genitori il contenuto del telefono del figlio morto

Orbene, la pronuncia del Tribunale di Milano dà l’occasione di fare alcune prime riflessioni sulla disciplina dei diritti delle persone decedute prevista dal Codice Privacy e sulle sue implicazioni pratiche.

Riproducendo quanto già previsto dall’abrogato art. 9 del Codice Privacy, il nuovo art. 2 terdecies (introdotto dal D. Lgs. 10.08.2018 n. 101 di armonizzazione al GDPR) attribuisce i diritti riferiti a dati personali concernenti una persona deceduta a chi è “portatore di un interesse proprio”, “o agisce a tutela dell'interessato, in qualità di suo mandatario”, “o per ragioni familiari meritevoli di protezione”.

In particolare, i diritti esercitabili sono quelli di cui agli articoli da 15 a 22 del GDPR (accesso ai dati personali, rettifica e integrazione dei dati personali, cancellazione dei dati personali, limitazione del trattamento, portabilità dei dati personali, opposizione al trattamento e diritto di non subire decisioni basate su trattamenti automatizzati).

Questa facoltà – e questa è la novità rispetto al testo del Codice Privacy antecedente al decreto di armonizzazione – può però essere esclusa o limitata dalla persona interessata con un atto scritto che esprima in modo specifico, consapevole ed inequivocabile il divieto per i propri futuri eredi di esercitare, in tutto o in parte, i predetti diritti.

L’art. 2 terdecies comma 2 prevede, infatti, che l’interessato può confezionare un vero e proprio “testamento digitale” stabilendo che “L'esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell'informazione, l'interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest'ultimo comunicata”.

Ed il comma 3 precisa che “La volontà dell'interessato di vietare l'esercizio dei diritti di cui al comma 1 deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata; il divieto può riguardare l'esercizio soltanto di alcuni dei diritti di cui al predetto comma”.

La novità rivoluzionaria delle nuove disposizioni contenute nel Codice Privacy è, dunque, la possibilità che una persona disponga il divieto per gli eredi di accedere dopo la sua morte ai propri dati contenuti in “qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi” (articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva (UE) 2015/1535 richiamato dall’art. 4, par. 1 n. 25 GDPR) come un social network o la posta elettronica.

Si tratta, in altri termini, della possibilità per il cittadino di disporre per il tempo in cui non sarà più in vita non solo delle proprie sostanze patrimoniali (beni mobili e immobili), ma anche del suo “bagaglio” morale costituito dalle informazioni (ricordi, racconti, affetti, fotografie, ecc.) transitate nei servizi digitali.

E ciò deve essere fatto con comunicazione inviata al titolare del trattamento idonea a dimostrare l’avvenuta ricezione ed evitare incertezze sulla provenienza dell’atto (ad esempio, con una raccomandata a.r. o con una pec).

Particolare attenzione, inoltre, deve essere posta al comma 5 dell’art. 2 terdecies secondo cui “In ogni caso, il divieto non puo' produrre effetti pregiudizievoli per l'esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell'interessato nonche' del diritto di difendere in giudizio i propri interessi”.

Il che significa che, nonostante l’inibizione espressa dal de cuius, l’erede potrà a determinate condizioni far valere il proprio diritto (ad. esempio perché deve difendersi in sede giudiziaria).

Tale disposizione, che mira a bilanciare i diritti in gioco (quelli del de cuius a mantenere la riservatezza su alcune o tutte le informazioni che lo riguardano e quelli dell’erede che deve tutelare le proprie ragioni), rende più difficile l’applicazione concreta del testamento digitale ed apre scenari inesplorati.

Da un lato, infatti, il singolo individuo è libero di decidere se vietare o meno che i suoi futuri eredi accedano dopo la sua morte alle informazioni conservate nei servizi di posta elettronica, dei social network, ecc.

Dall’altro, l’erede che intende esercitare uno dei diritti del GDPR può rendere inefficace il divieto posto dal de cuius e, più in generale, le stesse norme (commi 2 e 3) che lo disciplinano.

Il disposto del comma 5 è, quindi, destinato a far emergere probabili contenziosi.

Bisogna, poi, fare particolare attenzione alle implicazioni per i soggetti legittimati che possono derivare dall’esercizio dei diritti del defunto: la richiesta di esercizio di uno dei diritti del defunto può essere avanzata, dice la norma, da “chi ha un interesse proprio” o “agisce a tutela dell’interessato (il de cuius, n.d.r.), in qualità di mandatario” o “per ragioni familiari meritevoli di protezione”: sul punto, ad esempio il diritto potrebbe essere esercitato anche da un familiare del de cuius che ha rinunciato all’eredità, ma che ha interesse alle informazioni non patrimoniali del defunto archiviate nei servizi on line.

Potrebbe, infatti, darsi il caso che una persona chiamata all’eredità del de cuius decida di rinunciarvi (ad esempio, perché i debiti ereditari sono superiori al patrimonio del defunto) e, tuttavia, voglia conservare i suoi ricordi custoditi nello smartphone. A questo punto la disciplina privacy e quella successoria del codice civile prendono strade diverse.

Dal punto di vista privacy non ha alcuna rilevanza la posizione successoria di chi esercita i diritti del defunto: infatti, in passato, sotto la vigenza della legge n. 675/1996, il Garante (Provvedimento del 19 novembre 2003 - doc. web n. 1152385) aveva affermato che “Ai sensi dell´art. 13, comma 3, della legge n. 675/1996, chiunque ha il diritto di accedere ai dati personali concernenti persone decedute, purché vi abbia interesse.

Pertanto, il discendente del defunto ha pieno titolo ad accedere ai dati personali del "de cuius" a prescindere dalla concreta posizione attualmente rivestita in ambito successorio, senza che l´esercizio di tale diritto possa essere condizionato alla prova della qualità di chiamato all´eredità o all´esibizione di particolari documenti, quale la procura notarile rilasciata dagli eventuali altri eredi (fattispecie in cui il discendente del defunto ha chiesto ad un avvocato, che aveva assistito professionalmente il "de cuius", di accedere ai dati di quest´ultimo contenuti in atti e documenti detenuti in ragione del mandato difensivo ricevuto dal proprio cliente)”.

Attenzione, però, al profilo successorio!

(Nella foto: l'Avv. Matteo Maria Perlini, Delegato Federprivacy nella provincia di Federprivacy)

In tal caso, il rinunciante all’eredità potrebbe essere ritenuto, comunque, erede puro e semplice e rispondere dei debiti del defunto per effetto della c.d. revoca tacita della rinuncia all’eredità.

Infatti, l’art. 525 c.c. stabilisce che fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità.

E tale accettazione può essere anche tacita (art. 474 c.c.) nei casi di c.d. pro herede gestio, ossia di comportamenti concludenti che presuppongono la qualità di erede e che non potrebbero essere compiuti con una qualità diversa da quella di erede (art. 476 c.c.), come ad esempio il possesso di un bene (materiale o immateriale) del de cuius o la costituzione nel giudizio interrotto del chiamato in qualità di erede del defunto.

L’esercizio del diritto di accesso ai dati del defunto, anche qualora si tratti per esempio di fotografie, potrebbe essere valutato come un atto di accettazione tacita, seppur tardiva, dell’eredità.

Deve sottolinearsi, peraltro, che il diritto di accesso ai dati personali è, come detto, soltanto uno dei diritti esercitabili dal successore.

Si pensi alla possibilità di formulare richieste di cancellazione dei dati (c.d. oblio) ai sensi dell’art. 17 GDPR.

E se la richiesta fosse proposta da un soggetto che ha rinunciato all’eredità del proprio congiunto?

In definitiva, l’interesse di un familiare a tener viva la memoria del proprio congiunto potrebbe, da un lato, venire in conflitto con un eventuale volontà contraria manifestata del de cuius con un testamento digitale e, dall’altro, potrebbe costargli caro nel caso in cui, per evitare di subentrare nei debiti del defunto, volesse restare estraneo all’eredità.

Si auspica che tali brevi spunti aprano una discussione tra tutti gli interessati sui tanti temi solo accennati in questa sede e che meritano di essere sviluppati con l’applicazione ad altri istituti giuridici.

Note Autore

Matteo Maria Perlini Matteo Maria Perlini

Avvocato Cassazionista presso Studio Legale Perlini, Data Protection Officer, Delegato Federprivacy per la provincia di Frosinone, membro del Gruppo di Lavoro per la tutela della privacy nella gestione del personale - Web: www.studiolegaleperlini.it

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