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Su internet la democrazia è in via di estinzione

Da una parte i reati che si commettono in rete diventano sempre più numerosi e sempre più gravi, dall’altra la tutela delle vittime è sempre più difficile, a causa della natura di stessa di Internet che, in quanto comunità globale, sfugge molto spesso alle regole per l’esercizio della sovranità nazionale. Non è che manchino gli strumenti per difendersi, anzi ce ne sono pure troppi, ma sono veramente poco efficaci.

 Il ricorso alle decisioni automatizzate può provocare discriminazioni degli individui

A livello penale, per esempio, l’autorità giudiziaria non è in grado di intervenire tempestivamente, anche quando interviene non è detto che si riesca a identificare il responsabile dell’illecito, se anche questo viene rintracciato non è detto che sia perseguibile, perché potrebbe trovarsi dall’altra parte del mondo e in ogni caso il post o il video offensivo si può comunque duplicare all’infinito, senza che nessuno possa riuscire a fermarlo. Perché semplicemente potrebbe esser copiato da uno svizzero e poi da un neozelandese e così via, all’infinito.

Alla fine, lo strumento più efficace per la rimozione di contenuti nocivi è una richiesta rivolta agli stessi gestori delle piattaforme digitali, i quali si stanno sempre più organizzando per risolvere i problemi delle offese, dei discorsi di odio, e di tutti gli abusi che si possono commettere attraverso i social network: è la dimostrazione che le autorità pubbliche non sono in grado, strutturalmente, di garantire la tutela preventiva né quella repressiva. A questo fine Facebook ha istituito addirittura un comitato di controllo planetario di revisione delle decisioni aziendali, una sorta di corte suprema planetaria, il problema è che si tratta di giustizia privata, che applica regolamenti interni, autoreferenziali, procedure che non hanno alcun controllo democratico né alcuna forma di trasparenza.

Marino Longoni, condirettore di Italia Oggi

(Nella foto: Marino Longoni, condirettore di Italia Oggi)

Caso emblematico quello che succede in materia di revenge porn, dove il garante privacy italiano porta le notizie a Facebook, cioè un’autorità pubblica fa da intermediario nei confronti di un privato, perché intervenga a reprimere gli illeciti.

C’è anche il caso di Donald Trump, ex presidente degli Stati Uniti, che lamenta di essere vittima di questa forma di giustizia privata, fatta dagli stessi gestori.

A questo punto si pone un problema drammatico: i privati, sulla base di regole e procedure autocostruite, possono inibire la libertà di opinione? Se però non lo facessero verrebbe meno lo strumento più efficace per mettere un freno ai discorsi di odio, alle menzogne, alle offese alla dignità delle persone che avvengono in rete.

Altro esempio: la guerra in Ucraina, che viene combattuta non solo sul terreno, ma anche in rete con la cosiddetta disinformazione, cioè notizie false o manipolate che sono importantissime per condizionare l’opinione pubblica e alla fine anche le sorti della guerra: si deve cercare di fermare questa valanga di fake news oppure no? E chi lo decide? Una società commerciale, che ha come scopo principale il profitto, deve decidere quale informazione può circolare liberamente e quale no? Siamo in un vicolo cieco. La sovranità degli stati non è sufficiente a governare la rete, ma lasciare ai privati una forma di giustizia alternativa comporta gravi incongruenze in termini di mancato controllo democratico delle decisioni. Internet, che doveva essere un luogo di libertà e trasparenza, sta diventando la tomba della democrazia così come l’abbiamo conosciuta finora?

di Marino Longoni (Italia Oggi Sette dell'11 aprile 2022)

Note Autore

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Federprivacy è la principale associazione di riferimento in Italia dei professionisti della privacy e della protezione dei dati personali, iscritta presso il Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi della Legge 4/2013. Email: [email protected] 

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