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Innalzare a 16 anni l’età minima per prestare il consenso al trattamento dei dati personali online

Alzare la maggiore età digitale a 16 anni (dagli attuali 14); social e app costrette a verifiche effettive dell'età di chi li usa; estendere ai baby influencer le tutele del lavoro minorile; proteggere i minori da genitori e parenti, troppo social, che spiattellano foto sulla rete. Questo il poker di proposte formulate dall'Agia, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Carla Garlatti, che ha scritto al Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, per segnalare le questioni da affrontare con urgenza.

Alzare la maggiore età digitale a 16 anni, la proposta del Garante dell'Infanzia

Tra queste troviamo la disciplina a tutela dei diritti di bambini e ragazzi nell'ambiente digitale. Una prima questione riguarda l'età minima per prestare il consenso al trattamento dei dati personali da parte dei fornitori di servizi online, ai sensi del regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679 (Gdpr): la richiesta è di alzare da 14 a 16 anni, allineandosi alla regola generale prevista proprio dallo stesso Gdpr.

Bisogna intervenire con legge, ma bisogna agire il prima possibile, così da almeno attenuare i danni provocati dal fatto che social e app non sono in grado di controllare l'età dei minorenni, che usano account o applicazioni. Con il risultato che chi dovrebbe essere più protetto è, invece, abbandonato a sé stesso con il pretesto che può, per legge, esprimere il consenso.

Ma già a legislazione vigente è possibile intervenire su alcuni aspetti. Ad esempio, l'articolo 8 Gdpr (sul consenso dei minori) può essere inteso nel senso più restrittivo, limitando «l'offerta diretta di servizi della società dell'informazione» solo a quanto strettamente necessario per l'utilizzo di un determinato servizio, escludendo qualsiasi altro tipo di trattamento. Altro intervento possibile, a legislazione invariata, è attuare sempre, come pretende d'altronde lo stesso articolo 8 Gdpr, la prevalenza della regola dell'incapacità di agire del minore nei contratti, considerando che è patrimoniale anche la sola messa a disposizione di dati personali per ricevere un servizio.

(Nella foto: Carla Garlatti, Garante per l’infanzia e l’adolescenza)

A riguardo del controllo dell'età, inoltre, l'Agia chiede di obbligare social e app a usare sistemi basati sulla certificazione dell'identità da parte di terzi, come avviene per la Spid.

A questo proposito si aggiunge che questi sistemi potrebbero puntare su un coinvolgimento dei genitori, considerando che essi hanno un dovere educativo e che il loro coinvolgimento nelle scelte che compie il minorenne non è un'invasione della privacy del minore. A complemento si dovrebbe pensare a un effettivo controllo su app e social, visto che, già ora, è illegittimo ogni trattamento ogni volta che non c'è certezza sull'età del minore.

Un terzo tema interessa i cosiddetti baby influencer, per i quali l'Agia ha sollecitato l'adozione di una disciplina di verifica dei profitti generati online dai minori e il diritto all'oblio per i contenuti pubblicati su richiesta diretta dei ragazzi, una volta compiuti 14 anni. Sempre per i baby influencer l'Agia ha chiesto di estendere le tutele già previste per i minorenni che lavorano nello spettacolo e nella pubblicità (legge 977/1967).

Ultimo tema è quello dello sharenting, cioè della condivisione online delle foto dei figli da parte di genitori e parenti. L'Agia ha chiesto di estendere a questi casi l'applicazione delle disposizioni in materia di cyberbullismo, che consentono ai minorenni di chiedere direttamente la rimozione dei contenuti.

Peraltro, va anche detto che questo rimedio è pressoché inutilizzato e, quindi, bisogna pensare a più efficaci alternative.

Fonte: Italia Oggi del 29 novembre 2022 - di Antonio Ciccia Messina

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