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Australia: il governo mette al bando le videocamere 'Made in China' che in Italia erano finite nel mirino di Report

Le videocamere di sorveglianza “Made in Chinasaranno rimosse dagli edifici del governo australiano. Ad annunciarlo è stato il ministro della difesa australiano Richard Marles, affermando che tali dispositivi potrebbero rappresentare un potenziale rischio per la sicurezza nazionale.

Spionaggio, l’Australia rimuove le telecamere cinesi dagli edifici della Difesa

Non possiamo sapere con certezza se le informazioni sensibili come sono immagini e audio che vengono registrati da questi dispositivi non vengano segretamente trasmessi in Cina contro gli interessi dei cittadini australiani”, ha dichiarato il ministro della cybersicurezza australiano, James Paterson, che ha richiesto alle autorità del Paese il sequestro delle videocamere per effettuare alcune verifiche.

Nello specifico, le aziende colpite dal provvedimento emesso dal governo australiano sono la Hikvision e la Dahua, entrambe partecipate dal governo cinese, che hanno fornito complessivamente almeno 913 dispositivi tra telecamere, citofoni, sistemi di accesso elettronico e videoregistratori, a oltre 250 edifici governativi australiani.

Con questa decisione, l'Australia segue quindi la scia di Stati Uniti e Regno Unito, che a novembre del 2022 avevano adottato una serie provvedimenti simili, mettendo di fatto al bando l'installazione di sistemi di videosorveglianza cinesi dai siti considerati sensibili.

In Italia, a maggio del 2021 le telecamere di Hikvision installate nel sistema di videosorveglianza della Rai erano finite nel mirino della trasmissione Report, che aveva svelato delle anomalie, rilevando che le videocamere comunicavano tra di loro scambiandosi dati, e quando connesse ad internet avviavano una connessione con un server esterno situato nella regione in cui ha sede l’azienda produttrice Hikvision, di cui lo Stato cinese possiede una quota del 42%. Anche se i flussi avvenivano all’interno di un sistema a circuito chiuso, di fatto gli apparecchi erano quindi in grado di inviare i dati alla casa madre in Cina.

Dopo lo scoop di Report, seguirono varie segnalazioni riguardanti anomalie simili, tra cui anche quella dell’aeroporto di Fiumicino: “Dare informazioni sensibili di un luogo strategico del nostro Paese“ in cui ben 45 milioni di persone fanno scalo ogni anno, “oppure era un tentativo di attacco informatico per utilizzare le telecamere come cavallo di Troia dell’aeroporto e far crashare tutto il sistema mettendo a rischio anche la sicurezza dei voli”, aveva ipotizzato Sigfrido Ranucci, conduttore della nota trasmissione televisiva.

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