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Le città italiane sono sempre più digitali e invase dalle telecamere, ma per evitare di andare verso una società del controllo indiscriminato e non incorrere nelle pesanti sanzioni che sono previste dal GDPR è necessario cambiare urgentemente traiettoria rispetto agli scenari attuali.Infatti uno studio condotto da Federprivacy in collaborazione con Ethos Academy ha evidenziato che con il Regolamento europeo sono state finora già 161 le sanzioni direttamente riferibili a violazioni in materia di videosorveglianza, e solo l'8% delle telecamere sono segnalate da regolari cartelli di informativa minima.

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Chi installa sistemi di videosorveglianza decide il termine di conservazione delle immagini. E lo deve mettere nero su bianco sul cartello da esporre nelle zone riprese dalle telecamere. È l'effetto della deregulation introdotta dal Regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679 (noto con la sigla Gdpr). Il Garante ne prende atto e lo spiega nelle risposte alle domande più frequenti (Faq), diffuse sul suo sito internet. La materia, prima del Gdpr, era disciplinata da un provvedimento generale (l'ultimo è dell'8 aprile 2010) e, nei casi più spinosi, imponeva di ricorrere al Garante per una verifica preliminare (come sistemi integrati di videosorveglianza, sistemi «intelligenti», superamento termini di conservazione delle immagini fissati dal Garante, associazione immagini a dati biometrici, riconoscimento facciale, ecc.).

Non c’è dubbio, che, tra le tecnologie più diffuse, la videosorveglianza sia quella ad aver un maggior impatto privacy in termini di rischio inerente al trattamento, ossia a presentare potenziali impatti negativi sui diritti, le libertà fondamentali e la dignità delle persone fisiche (interessati).

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Nel corso di un recente provvedimento l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha censurato un Comune che utilizzava i modelli di segnaletica non aggiornati alle Linee Guida EDPB n.3/2019 sui trattamenti di dati attraverso strumenti video.

I sistemi di videosorveglianza non possono essere installati in luoghi dove può essere violata la sfera di intimità e la dignità delle persone. Se poi il sistema riprende soggetti ciechi o ipovedenti, non basta informare quest’ultimi sulla presenza delle telecamere attraverso mezzi tradizionali, come i cartelli, ma devono essere utilizzati strumenti adatti, come i messaggi audio. Questa la decisione del Garante per la privacy che ha sanzionato una residenza per persone cieche, che si erano lamentate per l’installazione di un sistema di videosorveglianza in grado di riprenderle in momenti privati della loro vita.

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Una recente ordinanza-ingiunzione (Provv. N. 20 del 27 Gennaio 2022 – doc. web n.9746047) emessa nei confronti di un circolo culturale ci ripropone l’assoluta importanza di due fondamentali presupposti di liceità di un impianto di videosorveglianza: l’informativa e l’angolo di visuale delle telecamere. Il caso è nato da una segnalazione fatta dalla Polizia Locale all’Autorità Garante in merito ad un accesso ispettivo, sollecitato dalla Stazione dei Carabinieri, in merito ad alcune telecamere esterne puntate verso la facciata della Caserma.

Sempre più spesso le polizie locali si trovano a dover fronteggiare l’abbandono di rifiuti e/o l’utilizzo scorretto da parte dei cittadini delle c.d. eco-piazzole. Si tratta di un’attività che assorbe risorse finanziarie e di personale al punto che il ricorso a sistemi di videosorveglianza dedicati (c.d. “fototrappole”) è sempre più ricorrente.Il Provvedimento generale 8 aprile 2010 in tema di videosorveglianza al § 5.2 si occupa dell’utilizzo di un sistema di videosorveglianza finalizzato al monitoraggio delle aree adibite a “deposito dei rifiuti”.

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Salvo specifiche disposizioni, spetta all’azienda individuare i tempi di conservazione delle immagini in caso di videosorveglianza, anche nei luoghi di lavoro. È uno dei chiarimenti forniti dal Garante della privacy nelle Faq pubblicate il 5 dicembre 2020. Il Garante ha chiarito alcuni adempimenti legati alla tutela della privacy, che si aggiungono a quelli previsti, sul fronte giuslavoristico, dallo Statuto dei lavoratori.

Uno studio realizzato da Federprivacy in collaborazione con Ethos Academy rivela che solo nell’8% dei casi i cittadini che entrano in un esercizio pubblico dotato di videosorveglianza trovano esposto un regolare cartello. Ammonta a oltre 4 milioni di euro il valore delle sanzioni per violazioni del GDPR dovuto a non conformità delle telecamere installate, il primato alla Spagna. Sono meno della metà i progettisti e gli installatori che si rendono conto dei reali rischi sulla privacy e del pericolo sanzioni. Appena il 3% delle aziende italiane intervistate che ha un DPO o un referente privacy ha sede al sud.

Non commette reato il datore che installi impianti di videosorveglianza, senza accordo sindacale, se il tutto è funzionale a prevenire possibili comportamenti infedeli dei lavoratori. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 3255/21.

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