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Sono ben 8 i punti, tutti di interpretazione del Regolamento europeo di protezione dei dati personali, nei quali sono cristalizzate le conclusioni della Corte di giustizia europea (sentenza nella causa C-252/21) sulla legittimità della condotta di Meta. I fatti, innanzitutto: Meta Platforms Ireland gestisce l’offerta Facebook nell’Unione. Iscrivendosi al social network gli utenti accettano le condizioni generali stabilite e, di conseguenza, le regole sull’uso dei dati e dei marcatori (cookies). Meta raccoglie così dati riferiti alle attività degli utenti all’interno e all’esterno del social network e li mette in relazione con gli account Facebook degli utenti interessati.

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Una decisione che rimescola le carte, e che apre nuovi fronti nel complesso mondo giurisprudenziale dei social network. La Corte di giustizia europea ha stabilito il 3 ottobre che i singoli Paesi possono costringere Facebook a eliminare i contenuti illegali, incluso quelli che incitano all'odio, sia all'interno dell'Ue che in tutto il mondo.

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Secondo il parere dell’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) la pubblicazione online dei dati personali di un atleta relativi alla sospensione dall’attività professionistica per doping da parte di una autorità nazionale antidoping non viola il Gdpr.

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Le comunicazioni elettroniche raccolte a fini di lotta alla criminalità grave non possono utilizzarsi in indagini minori di contrasto alla corruzione nel settore pubblico. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’UE con la sentenza della nella causa C-162/22 pubblicata il 7 settembre 2023. 

Lunedì, 30 Settembre 2019 09:16

Limitare il diritto all’oblio è un rischio

La Corte di giustizia ha adottato una decisione molto attesa sui limiti territoriali dell’ordine di deindicizzazione dei link lesivi del diritto all’oblio, emerso quale “nuovo” diritto nell’era digitale nella ormai leggendaria decisione Google Spain dell’aprile del 2014. In quell’occasione si aveva avuto modo di sostenere sul Sole24Ore che la sentenza del 2014 aveva almeno due punti deboli. Da una parte, il fatto che i giudici europei avessero di fatto attribuito un ruolo para-costituzionale al motore di ricerca, vero e proprio arbitro dei conflitti tra diritti fondamentali.

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Sempre meno dati anonimi. Attraverso ricerche incrociate su Internet è diventato facile abbinare informazioni, in partenza non nominative, alla persona cui si riferiscono. E in tale caso si applicano le disposizioni sulla protezione dei dati personali. È quanto rileva la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue) del 7/3/2024, resa nella causa C-479/22.

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Con la sentenza del 4 ottobre 2024 resa nella causa C-621/22, la Corte di Giustizia Ue si è pronunciata riguardo all'utilizzo del legittimo interesse come base giuridica prevista dal GDPR, relativo a quei casi in cui è lecito trattare i dati personali senza consenso dell’interessato, sulla base appunto di un interesse legittimo del titolare del trattamento.

Le autorità di polizia non possono conservare, senza altro limite temporale se non quello del decesso dell’interessato, dati biometrici e genetici riguardanti tutte le persone che abbiano subito una condanna penale definitiva per un reato doloso. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea(CGUE) nella causa C-118/22.

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La profilazione può portare a una personalizzazione estrema delle notizie, dove l'utente viene esposto principalmente a punti di vista che rafforzano le proprie convinzioni preesistenti. Questo fenomeno, come un "effetto bolla" può avere ripercussioni sul dibattito pubblico e sulla coesione sociale, limitando la capacità degli individui di comprendere prospettive diverse dalle proprie.

Alcuni mesi fa una sentenza della Corte di Giustizia UE aveva stabilito che anche i predicatori porta a porta sono tenuti a rispettare la normativa sulla protezione dei dati personali.

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