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Per proteggere dati personali da condotte pregiudizievoli le associazioni di tutela dei consumatori possono esercitare azioni rappresentative. Questo, secondo la Corte giustizia dell'Unione europea Causa C-319/20, anche indipendentemente dalla violazione concreta del diritto alla privacy di un interessato e senza mandato specifico.

Trattamento illecito di dati personali e diffamazione aggravata per aver messo in vendita online un catalogo di (ignare) donne single di quel ramo del lago di Como. Il Tribunale di Lecco ha depositato le motivazioni della condanna - 1 anno e sei mesi, oltre ai risarcimenti civilistici in separata sede -al fantasioso “editore” che quattro anni fa aveva creato fama non cercata e problemi relazionali a 1218 donne di ogni età, finite loro malgrado in un catalogo tratto da Facebook «che costa meno di un aperitivo».

Body shaming sui social? È diffamazione. E a contare non sono solo le parole ma anche le emoticon che accompagnano il post condiviso su Facebook. È quanto emerge dalla sentenza con cui la quinta sezione penale della Cassazione (n. 2251/2023) ha confermato la condanna per il reato di cui all'articolo 595, terzo comma, c.p., nei confronti di un uomo che aveva pubblicato un post derisorio su Facebook.

L’appartamento dei signori M.F. e C.A. veniva interessato da infiltrazioni d’acqua provenienti dall’appartamento del signor D.B.M. Questi, beneficiando di una copertura assicurativa, chiedeva l’intervento di INA Assitalia (poi Generali Italia) che stragiudizialmente liquidava i danneggiati.  A richiesta dell’assicurato, Generali gli trasmetteva una stampa del sistema informativo interno della medesima compagnia nonché un atto di liquidazione, questo indicante in calce le coordinate bancarie dei risarciti, coordinate acquisite dal proprio perito nel corso della procedura aperta per la copertura del sinistro.

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Nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato le agenzie investigative operano lecitamente solo nel caso in cui la vigilanza sui dipendenti non sconfini in una forma di controllo occulto sull'attività lavorativa vera e propria, la quale può essere direttamente esercitata solo dal datore di lavoro e dai suoi collaboratori. Precisa la Cassazione (sentenza 15094/2018 ) che la vigilanza tramite agenzia investigativa deve necessariamente limitarsi agli atti illeciti del lavoratore che non siano riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione lavorativa. In altri termini, l'intervento degli investigatori può giustificarsi solo nel caso in cui sia stato commesso un illecito e vi sia la necessità di una verifica più approfondita per accertare il contenuto effettivo delle violazioni, oppure se vi sia un fondato sospetto che atti illeciti siano in corso di svolgimento.

Non è reato lo spamming, cioè l'invio massivo di posta elettronica per farsi pubblicità, ad esempio a una mailing list di addetti ai lavori. E ciò perché il trattamento illecito di dati si configura soltanto se l'interessato subisce un nocumento, anche dopo le modifiche apportate al codice privacy per l'entrata in vigore di Gdpr. Il danno richiesto dalla legge non può essere soltanto il fastidio di dover cancellare le mail indesiderate, per quanto il relativo l'invio sia illegittimo: si configura invece quando il mittente non toglie dalla mailing list l'utente che segnala di non voler ricevere più i messaggi. 

Con l’ordinanza 25287/2022, la Corte di Cassazione torna sulla questione dei limiti all’utilizzo di agenzie investigative per l’accertamento di fatti disciplinarmente rilevanti nel rapporto di lavoro.

Diritto di difesa batte privacy. Il lavoratore può registrare di nascosto le conversazioni con i colleghi per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda: non serve il consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati - come l'audio “rubato” all'ignaro interlocutore - serve a precostituirsi un mezzo di prova, magari contro il datore. Ad esempio per il dipendente che vuole dimostrare la natura ritorsiva del licenziamento adottato dalla società. A patto, tuttavia, che l'utilizzo del file non vada oltre le finalità della tesi difensiva e, dunque, le necessità del legittimo esercizio di un diritto. È quanto emerge dalla sentenza 28398/22, pubblicata il 29 settembre dalla sezione lavoro della Cassazione.

La fisionomia del sistema di acquisto di bitcoin «si presta ad agevolare condotte illecite», visto che è in grado di assicurare un grado elevato di anonimato. Via libera quindi alla custodia cautelare per truffa e autoriciclaggio. Lo afferma la Cassazione con la sentenza 27023 della Seconda sezione penale depositata il 13 luglio 2022. 

Reato in concorso per l’impiegato di banca che chiede al collega l’invio di dati a cui non ha accesso per policy aziendale. La Quinta penale della Cassazione (sentenza 565/19) ha confermato la condanna alle sole statuizioni civilistiche (il reato era nel frattempo prescritto) per il dipendente di un grande gruppo bancario che si era fatto spedire da un collega “titolato” il file excel relativo alla posizione di un cliente importante. Il ricorrente, accusato di accesso abusivo a sistema informatico, aveva impugnato la decisione della Corte d’appello di Milano sostenendo che il semplice invio di una mail tra colleghi non può integrare il profilo oggettivo del reato contestato.

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