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Cassazione, i dati valutativi devono essere forniti all'interessato

 

Con la Sentenza n. 32533/2018, la Suprema Corte di Cassazione, prima sezione Civile, affronta un tema di grande interesse sia per i professionisti che si occupano di privacy, sia per coloro che, pur essendo specializzati in altri ambiti, si trovano necessariamente a misurarsi con le regole processuali.

Il caso esaminato dal Supremo Collegio vede un dipendente di una banca che gli aveva inflitto una sanzione disciplinare, proporre ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, nei confronti della medesima banca, ivi ribadendo la richiesta di ottenere la comunicazione, dei dati personali che lo riguardavano, contenuti in due documenti elaborati dall’istituto di credito in conformità alla circolare interna deputata a regolamentare il procedimento disciplinare.

La banca, invitata dall’Ufficio del Garante a fornire riscontro alle richieste del lavoratore, replicava di aver messo a disposizione tutte le informazioni riguardanti l’apertura del procedimento disciplinare (segnatamente, la lettera di contestazione degli addebiti e i fascicoli relativi ai clienti per i quali si erano riscontrate le irregolarità), mentre non  poteva accogliere l’accesso ad altri documenti, in quanto essi oltre a contenere dati della società “di uso strettamente interno... anch’essi protetti dalla normativa sulla privacy”, rappresentavano “espressione del diritto di organizzare e gestire la propria attività” (art. 41 Cost), e, comunque, si trattava di “atti endoprocedimentali”  attinenti solo al momento formativo della volontà datoriale e, pertanto, senza alcuna rilevanza rispetto all’esercizio del contrapposto diritto di difesa.

Il Garante, rilevato che l’art. 8 D.lgs 196/03, riconosce il carattere di dato personale dei c.d. “dati valutativi”, ovvero di quelle informazioni personali che non hanno carattere oggettivo relative a “giudizi, opinioni o ad altri apprezzamenti di tipo soggettivo” per i quali è possibili esercitare i diritti di cui all’art. 7 del medesimo decreto, accoglieva il ricorso ordinando di mettere a disposizione la relativa documentazione.

La Banca proponeva opposizione avverso il provvedimento del Garante, dinanzi al Tribunale di Roma il quale si espresse ritenendo legittimo l’atto impugnato.

La questione venne così sottoposta all’attenzione della Suprema Corte alla quale si chiedeva, tra le altre cose, di chiarire:  

se la legislazione in materia di tutela della riservatezza riconosca il diritto di acceso ai propri dati personali anche, allorché lo si eserciti al fine di predisporre la propria difesa in giudizio, disponendo, così di elementi probatori conseguiti fuori dal processo e non secondo le norme processuali, o se, invece, queste, in ragione della loro specialità, debbano, comunque, prevalere – come di regola – sulle norme in materia di riservatezza anche nel caso, quale quello prospettato, di utilizzazione ai fini di giustizia di dati personali propri e non altrui”.

La Corte, seppur con una motivazione che, probabilmente, meritava maggiore spazio argomentativo, respingeva il ricorso affermando che il tenore letterale dell’art. 7 D.lgs 196/03 non prevede alcuna specifica limitazione in ordine alle concrete finalità per le quali il diritto di accesso viene esercitato.

La Corte pertanto esclude una compressione del diritto di accesso in ragione di un eventuale impiego del dato in sede giudiziaria.

La Sentenza offre anche l’occasione per tornare a leggere uno dei tanti provvedimenti del Garante emessi sotto la presidenza del Prof. Stefano Rodotà, a cui si deve  molto, quasi tutto, di quel diritto fondamentale alla protezione dei dati personali.

Nel provvedimento (doc. web m. 39212), che si soffermava sul concetto di “dato valutativo”,  si legge:

 “È legittima la richiesta del lavoratore di accedere ai dati personali che lo riguardano, ivi compresi i giudizi, le valutazioni ed ogni notizia, informazione o elemento contenuti nella documentazione riferita ad una serie ben individuata di circostanze e di procedimenti. Ciò senza dover motivare la richiesta o dimostrare di dover acquisire i dati per difendere un diritto in giudizio. Il diritto di accesso ai dati personali non è soggetto inoltre a limitazione o differimento secondo i presupposti del diverso diritto di accesso ai documenti amministrativi, né può essere precluso quando i dati sono contenuti in documenti in passato esibiti all´autorità giudiziaria”. 

Note Autore

Nicola Maria Viscanti Nicola Maria Viscanti

Avvocato esperto di privacy e protezione dei dati personali, Delegato Federprivacy provincia di Prato - Email: [email protected]

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