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Body shaming sui social? È diffamazione. E a contare non sono solo le parole ma anche le emoticon che accompagnano il post condiviso su Facebook. È quanto emerge dalla sentenza con cui la quinta sezione penale della Cassazione (n. 2251/2023) ha confermato la condanna per il reato di cui all'articolo 595, terzo comma, c.p., nei confronti di un uomo che aveva pubblicato un post derisorio su Facebook.

In Brasile, Facebook è stato condannato dal Segretariato nazionale dei consumatori (Senacon) a pagare una multa di 6,6 milioni di real, (pari a circa 1,25 milioni di euro) per la fuga di dati personali degli utenti brasiliani nell’ambito della vicenda “Cambridge Analytica”.

Nell'ambito dell'istruttoria aperta nelle settimane scorse sul caso Cambridge Analytica, il Garante per la privacy italiano ha ricevuto le prime informazioni da Facebook, ma intende raccogliere ulteriori elementi per una piena valutazione del caso che ha visto coinvolti migliaia di cittadini italiani. Lo ha riferito all'Ansa l'Autorità guidata da Antonello Soro, dopo che è emerso il coinvolgimento di oltre 214 mila italiani nella vicenda.

Mark Zuckerberg si compra intere pagine di giornale per scusarsi e rassicurare gli utenti di Facebook. Chi si è commosso per il beau geste, freni le lacrime e pensi che le vistose e costose inserzioni pubblicitarie sono state pagate con i soldi guadagnati mettendo a frutto le informazioni che abbiamo direttamente o indirettamente riversato su quel social network.

Il Garante per la privacy ha concluso l’istruttoria avviata nei confronti di Facebook per il “caso Cambridge Analytica”. Al termine delle verifiche effettuate è risultato che i dati dei cittadini italiani acquisiti tramite l’App “Thisisyourdigitalife” (il test della personalità ideato per raccogliere le informazioni personali oggetto di profilazione), benché non siano stati trasmessi a Cambridge Analytica, sono stati comunque trattati in modo illecito, in assenza di idonea informativa e di uno specifico consenso.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha applicato a Facebook una sanzione di 1 milione di euro per gli illeciti compiuti nell’ambito del caso “Cambridge Analytica”, la società che attraverso un app per test psicologici aveva avuto accesso ai dati di 87 milioni di utenti e li aveva usati per tentare di influenzare le presidenziali americane del 2016.

E’ di 9 milioni di dollari la sanzione che Facebook dovrà pagare per aver fatto "affermazioni false o fuorvianti sulla privacy delle informazioni personali dei canadesi". A renderlo noto è un comunicato dell’Agenzia per la concorrenza sul mercato del Canada. La decisione è stata adottata in seguito a un'indagine condotta sulle pratiche sulle privacy tenute dalla società d Mark Zuckerberg tra il 2012 e il 2018.

Non resta impunito chi molesta e offende su Facebook. Per tali condotte, infatti, il rischio è la condanna per il reato di stalking. Lo ha chiarito la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 45141/2019, confermando la condanna a dieci mesi di reclusione per il reato di atti persecutori nei confronti di un uomo che reiteratamente aveva offeso, molestato e minacciato una donna, i suoi familiari e persone a lei vicine, attraverso post pubblici su Facebook.

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Non costituisce condotta diffamatoria l'utilizzo di una chat riservata ai componenti di una organizzazione sindacale su Facebook per scambiare valutazioni e giudizi di contenuto anche pesantemente negativo relativi alla società a cui i lavoratori appartengono e al suo amministratore.

Rischia una condanna per diffamazione aggravata chi insulta altri su Facebook, anche se magari pensa di farla franca solo perché evita di fare il nome della persona offesa. Se infatti gli aggettivi usati sono sufficienti per individuare la persona presa di mira, non sarà poi possibile nascondersi dietro un dito per sottrarsi alle proprie colpe. È il caso di una donna che sul noto social network aveva scritto offese pesanti riferendosi a una conoscente definendola in modo sprezzante “nana” e “spazzina”.

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